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Una Diocesi in cammino: al via il Sinodo sulla Sinodalità

Dopo l’apertura ufficiale di papa Francesco a Roma

«Peggio di questa crisi, c’è solo il dramma di sprecarla, chiudendoci in noi stessi». É un estratto dell’omelia di papa Francesco nella sua prima celebrazione con concorso di popolo nella basilica di San Pietro, dopo le misure restrittive imposte dalla pandemia nel primo lockdown. Era il 31 maggio 2020 e la crisi non era ancora finita, come non lo è oggi. Sempre nella stessa omelia il pontefice ha indicato i tre mali da evitare in questo momento: «Ci sono tre nemici del dono, sempre accovacciati alla porta del cuore: il narcisismo, il vittimismo e il pessimismo. Il narcisismo fa idolatrare sé stessi, fa compiacere solo dei propri tornaconti”. E ancora: “Il narcisista pensa: ‘La vita è bella se io ci guadagno’. E così arriva a dire: ‘Perché dovrei donarmi agli altri?’». Anche il secondo nemico, il vittimismo, è pericoloso: «Il vittimista si lamenta ogni giorno del prossimo: ‘Nessuno mi capisce, nessuno mi aiuta, nessuno mi vuol bene, ce l’hanno tutti con me!’. E il suo cuore si chiude, mentre si domanda: ‘Perché gli altri non si donano a me?’». Nel pessimismo, infine, «la litania quotidiana è: ‘Non va bene nulla, la società, la politica, la Chiesa…’. Il pessimista se la prende col mondo, ma resta inerte e pensa: ‘Intanto a che serve donare? È inutile».

Sinodo sulla Sinodalità

Parte forse da questa omelia il desiderio del Pontefice di proporre un Sinodo per la Chiesa, perché narcisismo, vittimismo e pessimismo non sono solo un pericolo: in alcuni casi sono la realtà. La stanchezza di spirito inasprita dal lockdown e l’impossibilità di incontrarsi se non con strumenti tecnologici hanno fatto emergere i difetti e le criticità delle proposte della Chiesa, che in alcuni casi sembrano affidate più al tradizionalismo che alla Tradizione. La soluzione, o meglio, l’arma per combattere questi nemici è solo una: la comunione. Condividere, camminare insieme, ascoltarsi, parlarsi sono solo alcuni dei “movimenti” di una comunità.

Così lo scorso fine settimana, il Papa ha inaugurato ufficialmente il Sinodo dei vescovi sul tema “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”, introdotto da queste parole: «La sfida è fare non un’altra Chiesa, ma una Chiesa diversa». Una Chiesa fatta di «vicinanza, compassione e tenerezza».

Allo stesso modo, il nostro vescovo monsignor Guido Gallese ci esorta con la sua Lettera pastorale a iniziare un cammino di cambiamento, perché le comunità possano essere capaci di prendersi cura di loro stesse e non di organizzare solo incontri o eventi. Come è possibile? Attraverso una maggiore consapevolezza dei “diritti e doveri” che derivano dal nostro sacerdozio battesimale. Ovviamente questo nuovo modello di partecipazione della Chiesa ha bisogno di una struttura che possa stimolare e sostenere le comunità. Per questo motivo, il nostro percorso diocesano è fatto di quattro momenti, chiamati “passi”.

Sinodo in Diocesi

Innanzitutto l’inaugurazione del Sinodo, che avverrà sabato 16 ottobre alle ore 10 in Cattedrale e che avvierà la prima fase, diocesana, nella quale sono coinvolti gli organismi di consulta diocesani (composti da sacerdoti e laici) e una Assemblea diocesana particolare che cercherà di raccogliere nel dialogo i sogni e i bisogni di ciascuna comunità. La seconda fase invece coinvolgerà le Zone pastorali, all’interno delle quali si decideranno gli indirizzi principali per poi compiere il terzo passo, ovvero la strutturazione delle Unità pastorali, la vera novità di questo Sinodo.

«In questi ultimi decenni» ci racconta monsignor Gallese «sono avvenuti alcuni mutamenti nella nostra società: una denatalità generale che ha spopolato le parrocchie, una riduzione della partecipazione alla vita delle parrocchie e la diminuzione del clero. Non delle vocazioni, sia chiaro, perché Dio continua a chiamare: siamo noi che siamo diventati sordi! Questo ci costringe a ripensare alle nostre realtà e a concepire il ministero pastorale in maniera differente. La vera domanda è: che cos’è una comunità cristiana? Papa Francesco ci dice che è un insieme di persone che condividono quattro coordinate: essere perseveranti nell’insegnamento degli apostoli, nella comunione, nello spezzare il pane e nella preghiera. Ma quando noi tagliamo di molto il numero di membri, non riusciamo più a provvedere alla sua sopravvivenza. La comunità deve quindi prendersi cura dei propri membri, in maniera diversa rispetto al passato. Da qui le Unità pastorali, che in sostanza raggruppano alcune parrocchie aumentando di fatto il numero di persone coinvolte, creando occasioni di collaborazione tra preti con un maggior numero di carismi a disposizione della comunità, modificando l’organizzazione sul territorio, mettendo in piedi lo stesso servizio come l’iniziazione cristiana, la pastorale giovanile o la preparazione al matrimonio».

Un percorso, quello della nostra diocesi, in linea con il cammino della Chiesa e i desideri del Pontefice, perché come dice Francesco: «Ci troviamo nella carestia della speranza e abbiamo bisogno di apprezzare il dono della vita, il dono che ciascuno di noi è. Perciò abbiamo bisogno dello Spirito Santo, dono di Dio che ci guarisce dal narcisismo, dal vittimismo e dal pessimismo. Ci guarisce dallo specchio, dalle lamentele e dal buio. Perché peggio di questa crisi, c’è solo il dramma di sprecarla, chiudendoci in noi stessi».

Enzo Governale

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