Pochissimi probabilmente sanno che in fondo al Messale attualmente in uso è collocata una serie di antiche preghiere in latino, utili per ringraziare il Signore dopo la celebrazione eucaristica. Fra queste ce n’è una, musicata all’inizio di questo secolo da monsignor Marco Frisina, e ora commentata da don Aldo Martin, direttore dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Vicenza, in Anima Christi (EMP, pp 143, euro 9). Si tratta di un’orazione anonima, risalente di certo a prima del XIV secolo e raccomandata caldamente da sant’Ignazio di Loyola, cui è talvolta erroneamente attribuita. In essa «l’orante sfiora ogni singolo dettaglio corporeo del Cristo, circondandolo di un’autentica amorosa adorazione. […]. Ciò che ferisce Cristo risana il credente» (p. 24). Le invocazioni sono al singolare per «conservare nell’orante la sorpresa e la meraviglia di sentirsi oggetto diretto delle attenzioni squisitamente personali di Gesù, che santifica, salva, inebria, lava, conforta, esaudisce, nasconde, difende, chiama e invita me. Proprio me» (32-33). Al termine della preghiera dal me si passa al te: «Pregando il Cristo avviene un prodigioso esodo da se stessi» (p. 33). Questa antica preghiera, che il testo del biblista Martin così acutamente commenta, è insomma tutto un invito a immergersi nell’esperienza dell’amore divino sintonizzandosi con essa. Quest’amore lo porteremo nell’eternità, che non sarà «un’interminabile, noiosissima ripetizione, ma […] uno stupore incessante davanti alle sorprese di Dio» (p. 128). In conclusione, il testo afferma che Anima Christi «è una chiave che apre alla comprensione e all’esperienza dell’Eucaristia, custodisce la dimensione affettiva della preghiera, favorisce la spiritualità del deserto» (p. 132).
Fabrizio Casazza