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La testa e la pancia – Quando la Diocesi sfidò l’Orso

Sono appena tornato dalle “Immacolatine” di via Tortona, dove mi sono prostrato dinanzi alle reliquie di Santa Bernadette e, osservando con una certa distrazione il tele-contenitore di Fabio Fazio, mi sto domandando di cosa potrei dissertare nella mia rubrica settimanale su “Voce” quando la mia attenzione è attratta da cinque uomini, con espressione serena e tuta rossa, seduti in prima fila nello Studio di Rai 1: poi, quando l’operatore inquadra don Antonio Mazzi seduto alla destra del quintetto e Fazio presenta la selezione della Nazionale Italiana dei Sacerdoti, la mia curiosità si accende. Mi precipito dunque a verificare su Google e scopro che no, non si tratta di una bufala, e che questa strana Nazionale effettivamente esiste; così il primo pensiero, pur essendo uomo del nuovo millennio, è che non esistono più i preti di una volta e provo ad immaginare che cosa avrebbero pensato sacerdoti e pastori del passato di una Nazionale Italiana Ecclesiastica in tempi profani di social networks e (a me peraltro molto cari) messaggi vocali su WhatsApp.

Poi mi rendo conto che tutto questo paganesimo pallonaro non è mica figlio del nuovo millennio e ripenso alle mie sgambate nel cortile dell’Istituto “Maria Ausiliatrice”, infante studente delle Scuole Elementari e a quelle da imberbe adolescente della Scuola Media Vescovile “San Pio V” nello spazioso, e già cementificato, parcheggio del “Santa Chiara” e che quelle corse disperate dietro ad un pallone prima dell’inizio delle lezioni, durante l’intervallo e perfino al termine del pasto in refettorio, con l’ultimo boccone ancora in gola, erano per noi uno straordinario momento di aggregazione. Ma il mio pensiero si spinge oltre, supera il personale bagaglio di ricordi e sconfina nell’aneddotica appresa de relato: quella di un gruppo di seminaristi nati nel ventennio tra le due Guerre di cui facevano parte compianti sacerdoti come don Semino, don Stanchi e “il leone di via Monteverde” don Mario Pozzi. Proprio lui, tra un pellegrinaggio in Terrasanta e un viaggio a Lourdes, venti e più anni or sono, mi narrò delle furtive letture della “Gazzetta dello Sport” (di nascosto dai superiori, tra un testo sacro e l’altro) di quel gruppo di futuri sacerdoti che avrebbero contribuito a consolidare la Chiesa alessandrina nei decenni a venire e mi rendo conto che, sotto certi aspetti, il tempo non è passato.

Infine, la mente giunge all’aneddoto degli aneddoti, un episodio che sembra uscito da un film e che invece fu realtà: un’audacissima sfida a calcio tra quei giovani seminaristi ed i giocatori della squadra giovanile di un’Alessandria Calcio che, ben lontana dai mediocri livelli attuali, militava in Serie A e disponeva quindi di un vivaio all’altezza. Di quei futuri uomini di Dio, prevalentemente figli delle campagne e delle colline della nostra Provincia, dunque forti nel fisico non meno che nello spirito, si diceva che don Mario fosse uno dei migliori e che, profittando della lunghezza dell’abito talare, non lesinasse (non si sa se con dolo o per innocente vigore atletico) qualche colpetto proibito ai garretti degli avversari più focosi. Allora mi rendo conto che il mondo non è cambiato o, preferisco pensarlo, non è peggiorato così tanto, che la goliardia e il sano amore per il pallone, già settant’anni fa, non erano vissuti come qualcosa di contrastante con la Fede e mi sento un po’ meno profano a dissertarne da pagine use a trattare temi ben più nobili ed elevati… Dimenticavo: per la cronaca, quell’anomala sfida tra giovani professionisti del calcio e futuri pastori di anime fu vinta da questi ultimi…

Silvio Bolloli

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