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Torniamo sul fine vita

Lettere al direttore

L’opinione del comitato “Difendiamo i nostri figli”

Signor direttore,
negli articoli che il suo giornale ha dedicato alla questione dell’aiuto al suicidio dopo il pronunciamento della Corte Costituzionale colpisce che si faccia esclusivo riferimento al rapporto tra legge positiva e diritto individuale, come è evidente dall’impostazione grafica con cui sono presentate tre posizioni: sfavorevole, mons. Russo; provo disagio ma non so, il Presidente del Consiglio Conte; finalmente si va avanti, Cappato (nella foto qui sotto). L’Ordine dei medici denunciando il radicale contrasto di questa norma con il giuramento con cui ha inizio la loro vita professionale («Giuro di non compiere mai atti idonei a provocare deliberatamente la morte di un paziente») rende evidente che è avvenuto un rovesciamento del principio del “favor vitae” che ha fino a ieri qualificato il nostro ordinamento e a cui l’obiezione di coscienza, già prevista per l’aborto, non può porre rimedio.

Questo rovesciamento infatti tocca non solo chi opera professionalmente ma ciascuno di noi. Vedendo uno sconosciuto buttarsi nel Tanaro è ancora possibile intervenire senza rischiare di ledere la sua autodeterminazione? Nel caso di incidenti come ci si dovrà comportare riguardo alle vittime coinvolte? Fare tutto il possibile per salvarle o attendere l’espressione della sua volontà? Domande queste che non possano trovare risposta in nessun strumento burocratico (Cfr i registri previsti per le DAT). Ciò che accade negli stati che ci hanno preceduto su questa strada mostra inoltre non solo che il cambiamento del patto sociale su cui si fonda la convivenza influenza pesantemente il costume ma che al conclamato principio di autodeterminazione, segue, quasi per inerzia, una pratica in cui è lo stato che decide della vita e della morte sulla base di parametri assolutamente aleatori come la “dignità” e la “qualità” della vita (cfr Inghilterra, Olanda, Belgio, ecc.). La legge (del più forte) non solo ha contribuito a “costruire” una nuova morale personale ma ha cambiato le regole di base della convivenza sociale.

La sentenza della Corte rappresenta un passo ulteriore del nostro Paese verso l’esclusione del principio di solidarietà, di cui la difesa della vita è il primo fondamento, fino ad oggi centrale nel nostro ordinamento.
C’è coerenza nell’accettare (o sostenere) che la società si organizzi sempre più come un insieme di individui legati tra loro solo da una tecnostruttura formale, oggi funzionale al perseguimento di fini strettamente economici, e il chiedere insistentemente alla comunità impegnativi gesti di solidarietà? Colpisce che a questa domanda non sia stato dato spazio, anche solo affiancandola ad altre, in un giornale che, in quanto cattolico, fa della solidarietà la punta di diamante di tante scelte culturali e politiche.

Cordiali saluti,
Alberto Bisio e Isa Zanotto
Comitato “Difendiamo i nostri figli”

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