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Cardinale Marc Ouellet

Una visione rinnovata del celibato sacerdotale

La recensione

Il libro “Amici dello sposo” che raccoglie i pensieri del cardinale Marc Ouellet

Nell’assemblea speciale del Sinodo dei Vescovi per la regione panamazzonica è emersa più volte l’ipotesi di conferire l’ordinazione presbiterale ad anziani sposati in funzione della sola celebrazione dei sacramenti. Questa prospettiva fa molto discutere, con opinioni estremamente diverse a partire da interrogativi tutti legittimi: può un cristiano condurre la sua vita spirituale nutrendosi dell’eucaristia solo due giorni all’anno, le volte in cui il missionario può raggiungere uno sperduto villaggio? È corretto separare i tria munera, i tre compiti del Pastore (predicazione, celebrazione, guida) limitandosi alla dimensione liturgica? Qualunque risposta darà il Sinodo sotto la direzione del Papa, è bene riflettere sul senso del ministero ordinato, consapevoli che «cercare vie nuove per l’evangelizzazione degli autoctoni in Amazzonia significa andare oltre un approccio che si ridurrebbe a muovere da cosmovisioni amazzoniche, in uno sforzo di sintesi interculturale che corre il rischio d’essere artificioso e sincretista». Un contributo pregevole all’indagine teologica e spirituale lo offre il testo Amici dello sposo, appena pubblicato da Cantagalli (pp 223, euro 19), che raccoglie diverse meditazioni e omelie del cardinale Marc Ouellet (nella foto), sulpiziano canadese, dal 2010 Prefetto della Congregazione per i Vescovi e Presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina.

Il libro, che riguarda la Chiesa universale, parte da uno sguardo disincantato sulla realtà dell’Occidente: «gli effettivi diminuiscono, il morale scende, le prospettive pastorali restano abbastanza oscure», fino ad avvertire «un’impressione di fine epoca». Per affrontare tale situazione non bisogna confondere la nuova evangelizzazione «con una modernizzazione delle usanze e dei costumi, al fine di rendere il cristianesimo più accettabile malgrado certe negatività della storia»: il risultato sarebbe un fallimento certo. Va riscoperto innanzi tutto il sacerdozio comune di tutti i battezzati, che «esprime la loro partecipazione alla filiazione divina di Cristo» e «significa una vita nuova secondo lo Spirito di Cristo». Il volume affronta la questione del celibato dei chierici, che «non è scaturita come una novità all’inizio del IV secolo, bensì come la conferma disciplinare d’una tradizione, tanto in Oriente che in Occidente, che risaliva fino agli Apostoli». Si può dire che si tratta di un «dono nuziale escatologico di Cristo Signore alla sua sposa», che cioè manifesta e rende presente attraverso la presenza e l’azione dei ministri ordinati il fatto che il Cristo è lo Sposo della Chiesa. Ecco perché il celibato «rimane una forma sempre valida di paternità spirituale che rende testimonianza della fecondità eucaristica del Signore e della sua Sposa».

Collegandoci all’inizio, questo discorso chiama in causa l’immagine che si ha della Chiesa, che «non si vede più infatti come una “società perfetta” in posizione di potere, capace di inquadrare i valori sociali e culturali come all’epoca della cristianità. Si vede piuttosto come un popolo di credenti sparso in mezzo alle nazioni, una “comunione” nata dal mistero pasquale di Cristo». Per capire il sacerdozio bisogna prima capire la Chiesa e il battesimo.

Fabrizio Casazza

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