Intervista a Renato Balduzzi
«La nostra proposta culturale è qualcosa che deve un po’ inquietare»
Professor Balduzzi, come sono andati questi Martedì d’Avvento?
«Direi molto bene per quanto riguarda la qualità dei relatori intervenuti. Nel loro settore, si tratta di persone che non avevano certo bisogno di avere una conferma. Ma direi bene anche per la partecipazione. Forse, rispetto a qualche esperienza passata, c’è stato un minore coinvolgimento al di fuori della Chiesa locale, ma questo dipende da come queste iniziative vengono presentate, e dalla cura che riusciamo a mettere nell’invitare gli altri. In passato abbiamo avuto anche presenze istituzionali, oltre che esponenti della vita cittadina non strettamente legati alla vita delle parrocchie e della Chiesa diocesana. Ecco, forse c’è stata meno attenzione a comunicare questi Martedì. Mi sarebbe piaciuto avere un uditorio plurale. Ma questo limite è per me, e per chi con me organizza l’evento, semplicemente uno stimolo a curare di più, nelle prossime occasioni, il collegamento con il mondo che sta fuori».
Il tema di questa edizione, “Immagini di Dio nel nuovo millennio”, può aver tenuto lontano chi sta “fuori”?
«Nell’ultimo incontro dei Martedì, denso, appassionante e con un dibattito molto allargato, don Roberto Repole ci ha fatto comprendere che nella nostra società secolarizzata il modo con cui noi ci consideriamo Chiesa, immagine di Cristo a sua volta rivelatore di Dio Padre, non è irrilevante rispetto al messaggio che mandiamo a chi sta alla frontiera dell’esperienza ecclesiale. È un problema di rileggere la nostra identità ecclesiale alla luce del contesto in cui viviamo. E dunque di riuscire a comunicare meglio la gratuità della proposta cristiana, la sua, si diceva appunto martedì scorso, “in-utilità”: non una proposta fatta per proselitismo o per arrivare a un risultato di consolidamento di strutture e iniziative, ma la Buona Notizia del Vangelo, offerta a tutti. È stata una importante rilettura della “teoria del dono”, uno dei banchi di prova della riflessione filosofica del XX secolo. Come si supera l’utilitarismo? Certo, c’è stato un movimento anti-utilitarista nelle scienze sociali, ma Repole è andato oltre e, utilizzando anche diversi spunti del magistero di Benedetto XVI e Francesco, ci ha aiutato a capire come la caratteristica del Dio cristiano è proprio la gratuità della proposta: è un dono offerto a tutti, in libertà. La nostra capacità di comunicarlo dipende dalla consapevolezza che abbiamo di non essere una lobby, di non dover difendere “interessi” cristiani».
Due relatori su tre erano teologi. I motivi di questa scelta?
«In realtà il teologo era don Repole. Don Aime, pur essendo teologo e filosofo della religione, lo abbiamo voluto con noi come persona appassionata di letteratura, soprattutto di poesia contemporanea. Ci ha donato una meditazione profonda proponendoci autori, conosciuti e sconosciuti, di straordinario interesse per cogliere la sensibilità che i meno vicini a noi hanno nei confronti dell’Oltre».
Professore, che cosa la spinge a organizzare due volte all’anno i Martedì?
«Li affronto con passione, come è nella mia indole… chi mi conosce lo sa. Aggiungo tra le motivazioni anche il dubbio che una minore attenzione a questi momenti possa magari provocarne il progressivo venir meno. Qui però il punto è problematico: penso che le iniziative debbano vivere di vita autonoma, anche e soprattutto rispetto a chi le ha promosse e sostenute negli anni. Se non stanno in piedi da sole, mi chiedo se ha senso continuare a proporle. È una domanda aperta, per me…».
Quale ritiene sia il contributo dei Martedì alla vita della nostra diocesi?
«Quello di non accontentarsi dei propri percorsi, pur santi e buoni. La proposta culturale come l’abbiamo sempre intesa in questi decenni è qualcosa che deve un po’ inquietare: questa è la sua peculiarità, aiutarci a quella conversione permanente che ci viene chiesta come atteggiamento di vita. È la ragione che ha fatto nascere i Martedì, e oggi li mantiene in vita».
Nei prossimi incontri di Quaresima affronteremo la “Christus Vivit”
Una domanda personale: che cosa ha portato a casa Renato Balduzzi da questo ciclo di incontri? Una frase, una conferma, un’inquietudine…
«Intanto sono contento: quest’anno ho partecipato a tutte le serate, cosa che nelle precedenti edizioni spesso non mi era stata possibile. Guardando ai singoli incontri, devo confessare che l’astrofisico (Marco Bersanelli, ndr) mi ha fatto fare pace con l’universo. Non più cosmo, appunto, ma universo: proprio perché incommensurabilmente grande, dà ancora di più l’idea della incommensurabilità di un Dio che ha scelto questa zolla per rivelarsi e avere un rapporto con noi. Don Aime mi ha spiazzato, non solo perché una parte dei poeti che ha citato io non la conoscevo, ma anche perché ha stimolato la curiosità. L’ultimo incontro, quello con don Repole, è stato proprio la “sistemazione”, anche se inquietante… ma è proprio questo quello che chiediamo a un teologo, no? Vorrei anche dire che mi ha fatto molto piacere la presenza in tutti e tre gli appuntamenti del nostro Vescovo. Non è scontato, ed è una testimonianza di attenzione da parte sua. E questo comporta un “di più” di attenzione verso di lui da parte nostra».
Per i prossimi Martedì di Quaresima avete già qualche idea?
«La proposta è stata del Vescovo, rafforzata dall’entusiasmo del Vicario generale e dal nostro, cioè del Meic e del Centro di cultura dell’Università Cattolica: sarà una riflessione sulla Esortazione apostolica di papa Francesco “Christus Vivit”, per avere un cambio di passo nel rapporto con i giovani. Che oggi sono numericamente pochi, lavorativamente precari e culturalmente disorientati, ma proprio per questo possono aiutare gli altri a non perdersi nel proprio “particulare”. Lasciamoci provocare dai giovani! Il nostro non sarà solo un racconto della “Christus Vivit”, dunque, ma cercheremo anche di comprendere l’universo giovanile, con grande attenzione a ciò che da questo universo viene, e come questo possa essere di interesse per la nostra Chiesa alessandrina. Nella linea di quelle “domande aperte” che inquietano, in senso positivo».
Andrea Antonuccio