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Una corona di sofferenza e amore

Intervista al nostro vescovo monsignor Guido Gallese

Eccellenza, al termine della Messa in streaming per la Domenica delle Palme ha detto: «Che cosa sono per me la palma e l’ulivo? Degli oggetti benedetti che tengo in casa oppure un richiamo al fatto che la vera Gloria del Signore non è stato l’ingresso in Gerusalemme, ma la morte in croce?». Ce lo spiega?
«Noi siamo soliti dire: “Solo quando le persone non ci sono più, ci rendiamo conto di quanto siano importanti”. Questo è tipico della psicologia dell’essere umano: quando una cosa è nostra la diamo per scontata, mentre quando non c’è scopriamo quegli elementi che erano importanti e da conoscere. E questo succede anche per la fede… In questi giorni una persona mi ha detto: “Ho finalmente riscoperto il valore della comunione, vivendo la comunione spirituale in casa”. E poi ha aggiunto: “Quante comunioni ho sprecato, quante volte sono andata via da Messa senza aver assaporato il vero sapore dell’Eucarestia”. Così anche per gli ulivi e le palme benedette, che spesso accostiamo a un “portafortuna”, di cui abbiamo perso il senso profondo. Quello che questi due simboli ci dicono è che la vera vittoria non è quando va tutto umanamente bene, ma quando siamo capaci di amare. Questa è l’evoluzione di Cristo, perché il Suo Regno non è di questo mondo, altrimenti sarebbero arrivati i sodati a difenderlo. È dell’altro mondo, perché Cristo vince amando, e la Sua corona è di spine perché attraverso la sofferenza si incorona in virtù dell’amore. Non posso dimenticare l’affresco di Alessandro Franchi e Gaetano Marinelli del 1896, in cui Gesù offre a Caterina da Siena una corona d’oro e una di spine, e la Santa tende le sue mani verso quella di spine. Il punto che volevo sottolineare è questo: le palme ci ricordano proprio le volte in cui lasciamo il Signore, quando lo acclamiamo e poi lo abbandoniamo. La vera gloria del Signore è l’Amore che lui ha per noi, anche se siamo spariti».

In una sua “pillola” invita a «non fare il conto alla rovescia di quando finirà questa situazione perché non lo sappiamo». In questo mondo così frenetico abbiamo perso la bussola?
«Abbiamo perso la bussola, direi anche un po’ tanto (sorride). Noi dobbiamo imparare a vivere la situazione così com’è. Quella che umanamente si chiama resilienza, per un cristiano è il potere trasfigurativo della dinamica della morte e risurrezione del Signore. Se io vivo la morte e risurrezione con Cristo, questo mi trasfigura e mi fa vivere la vita in modo straordinario. In realtà, per noi cristiani, in questo momento di reclusione forzata, non esiste del tempo inutile. Dipende da ciò che sta alla base della mia vita. Se, per esempio, ho posto il mio valore in quanti piatti produco in un giorno, il fatto di non potermi recare al lavoro mi fa sentire inutile. Se invece nella mia vita il riferimento è quanto amore “produco” in un giorno, il fatto che io sia a casa non cambia la situazione e mi lascia pienamente produttivo. È questa la capacità di trasfigurare la realtà, è questo che ci rende resilienti e fa sì che un cristiano non possa mai essere impedito nell’esercizio pieno della sua vita. L’Apocalisse ci insegna questo quando, attraverso l’offerta amorosa, l’esercizio del sacerdozio spirituale interiore trasforma la realtà in atto di culto. L’Agnello immolato ha fatto di noi un Regno e sacerdoti per il nostro Dio: il Regno è quello dell’amore e siamo sacerdoti perché, mediante questo amore, trasfiguriamo la realtà facendone un dono».

Dove vede Dio in questa tragedia?
«Dio lo vedo dove è sempre stato: al nostro fianco. E lo è stato affrontando una morte per tortura, fino alla croce. Lo vedo con noi per indicarci come vivere questa tragedia, per farci capire che lui c’è già passato, ed è con noi perché quello che conta è amare».

Il Santo Padre, nella preghiera di venerdì 27 marzo, ha detto: «Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato». Come ne usciremo umanamente e spiritualmente da questo «mondo malato»?
«Umanamente con un pochino meno di boria: il grande ingranaggio dell’economia, della produzione, del divertimento si è inceppato in un modo cosi semplice che nessuno lo avrebbe mai pensato. Spiritualmente spero più forti, avendo chiaro che ci sono dei riferimenti nella vita e che alcune cose sono importanti, altre meno. Ricordo un mio parrocchiano che indossava una maglietta con scritto: “L’importante è la salute”. Quando lo incrociavo gli dicevo: “Sì, ma quella eterna” (sorride). Quando il Papa parla di un “mondo malato”, sta parlando di una malattia che non è fisica, perché il mondo era malato già prima dell’epidemia. Adesso tocca a noi costruire un mondo non malato».

Come ha vissuto questa Quaresima?
«Forse la più bella della mia vita. Vorrei fare un sacco di cose e sto lavorando un po’ troppo. In questo periodo sono le preoccupazioni che mi corrodono: il pensiero va ai sacerdoti, agli amici e a tutte le persone che stanno male. Avendo delle responsabilità cerco di stare dietro a tutte queste cose, e non è affatto facile. Posto questo, il vivere con molta tranquillità la liturgia, la preghiera e lo stare davanti al Signore mi ha aiutato molto in questo periodo. Devo dire che arrivo alla Pasqua con un atteggiamento più concreto».

Un messaggio di speranza per questa Pasqua ai malati e alle loro famiglie.
«Il mio messaggio è spirituale e di vicinanza a coloro che stanno tribolando, che hanno avuto un lutto e stanno faticando a elaborarlo: immagino quanto sia difficile con queste modalità di morte. L’unica vera soluzione per cambiare le nostre vite, valida per qualsiasi situazione, è vivere come Gesù ci ha insegnato. Impariamo ad associarci alla Sua morte per condividere la Sua risurrezione».

Alessandro Venticinque

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