Elisabetta Taverna, presidente diocesana dell’Azione Cattolica
Dal 25 aprile al 2 maggio si è svolta la XVII Assemblea nazionale dell’Azione Cattolica Italiana (ovviamente a distanza), alla quale anche tu hai partecipato. Elisabetta, che clima hai respirato in quei giorni?
«Non immaginavo che un evento online potesse essere così coinvolgente! Anche dalle nostre case siamo riusciti a respirare la vivacità che eravamo soliti trovare agli appuntamenti nazionali in presenza. Merito di un’impostazione efficace con la giusta alternanza di interventi dei relatori e confronto in piccoli gruppi, di momenti istituzionali e altri più informali, di parti riservate ai delegati e dirette aperte a tutti. Abbiamo percepito una grande cura dei vari aspetti, dal percorso spirituale (oltre alle celebrazioni nelle serate del martedì e del sabato, l’intera settimana è stata accompagnata da tracce per la preghiera personale) alla condivisione di testimonianze per far conoscere esperienze locali, ai messaggi di saluto ricevuti dai rappresentanti di altre associazioni e movimenti. Un segnale incoraggiante la rilevante presenza dei giovani. Più della metà dei soci dell’Azione Cattolica Italiana ha meno di 30 anni e la composizione dell’assemblea ha rispecchiato questo dato».
Quali sono stati i temi che ti hanno colpito di più?
«Più che un tema mi ha colpito il fatto che l’assemblea sia stata un grande esercizio di discernimento per tracciare il cammino del prossimo triennio interrogandoci su come l’AC possa essere profetica oggi per la Chiesa e per il Paese. Nel misurarci con questa domanda ho trovato particolarmente arricchente la meditazione di monsignor Sigismondi che ha delineato i tratti del profeta: “Uomo della concretezza che ha la pazienza del contadino, che aspetta il prezioso frutto della terra, e la perseveranza della sentinella, testimone della luce ancora mescolata con le tenebre”».
Che cosa hai “portato a casa” da questa Assemblea, per l’Associazione e per te?
«Questa forte esperienza di partecipazione rimarrà nel bagaglio personale di ciascuno come espressione di un modo di stare in questo tempo, di vivere la responsabilità in forme nuove ma potendo contare sulle radici di una lunga storia. Ha lasciato un senso di gratitudine e di fiducia che aiutano a rinnovare il nostro impegno aprendo prospettive di futuro, senza fermarci a rimpiangere ciò che non possiamo fare o ad aspettare con rassegnazione tempi migliori».
Come si è espressa la vostra vita associativa diocesana in questo anno così difficile per le limitazioni dovute al Covid?
«Non è stato un anno perso o sospeso ma un tempo in cui sperimentare “un di più”. Sicuramente ha richiesto maggiore impegno, innegabili fatiche nel misurarsi con una situazione che ha toccato drammaticamente tante persone. Ma in esso sono emersi un fermento positivo, una sinergia tra giovani e adulti, il desiderio di tenersi in contatto. Cito come esempio il Mese della Pace che tra gennaio e febbraio ha coinvolto persone di ogni età con proposte settimanali da vivere in famiglia o a piccoli gruppi e con spunti da riprendere in parrocchia nella messa domenicale. La grande partecipazione riscontrata, nonostante l’impossibilità di organizzare la festa diocesana, ha dimostrato che non è indispensabile l’evento dai grandi numeri mentre è essenziale un percorso più diffuso e continuativo».
In che modo la dimensione regionale e nazionale vi ha aiutato e supportato?
«Entrambe le dimensioni sono un valido punto di forza. Il livello regionale consente un confronto assiduo e familiare tra responsabili delle diverse diocesi. Il livello nazionale offre opportunità formative che allargano gli orizzonti. In questi mesi non sono mancati webinar, gruppi di studio, materiali di approfondimento: strumenti che hanno valore perché fondati su un tessuto di relazioni costruite nel tempo. Durante il suo mandato, la presidenza uscente ha girato tutta l’Italia incontrando personalmente le realtà locali. Con lo stesso stile di vicinanza ci ha accompagnato fin dall’inizio dell’emergenza. Il primo invito che come presidenti diocesani abbiamo ricevuto durante il lockdown è stato per una videochiamata di gruppo. All’ordine del giorno non il punto della situazione sulle attività interrotte ma la domanda: “Come state?”».
Clicca qui per leggere il Messaggio dell’AC alla Chiesa e al Paese
Marco Truffelli e papa Francesco: l’incontro venerdì 30 aprile in Vaticano
«Carissimo Papa Francesco, l’Azione cattolica tutta, tutti i ragazzi, i giovani, gli adulti e gli anziani che ne fanno parte ti vogliono bene, ti seguono con gratitudine e fiducia, e pregano per te». Con queste parole il presidente nazionale di Azione Cattolica, Matteo Truffelli, ha salutato il Santo Padre che venerdì 30 aprile ha ricevuto in udienza il Consiglio nazionale dell’associazione laicale. Con il presidente erano presenti anche i responsabili nazionali di AC in rappresentanza dei 270 mila iscritti, operanti in 5.400 parrocchie e sostenuti da 7 mila sacerdoti assistenti ecclesiastici.
Truffelli ha affermato: «Vogliamo tentare, insieme, di leggere in profondità il tempo che stiamo vivendo per trovare dentro di esso i sentieri da percorrere verso la realizzazione di un’autentica conversione missionaria. Per partecipare alla costruzione di una società più giusta, più solidale, più umana».
L’Azione Cattolica, ha concluso il presidente nazionale, «è fatta di uomini e donne di ogni età, provenienza territoriale, appartenenza sociale e formazione culturale, che desiderano camminare gli uni con gli altri per condividere la bellezza della comune vocazione alla santità e all’apostolato. In ascolto reciproco e in ascolto del tempo che abitiamo. È questo il nostro modo, semplice ma appassionato, di vivere la corresponsabilità laicale. Ed è ciò che abbiamo da donare alla Chiesa italiana, anche per sostenerla nel cammino sinodale che la attende».