Tempo di Quaresima
Chi ha partecipato all’Eucaristia il mercoledì delle Ceneri ha sentito queste parole della prima orazione: “Concedi, Signore, al popolo cristiano di iniziare con questo digiuno un cammino di vera conversione, per affrontare vittoriosamente con le armi della penitenza il combattimento contro lo spirito del male”.
Credo che ci colpiscano in modo particolare i termini “armi” e “combattimento”, in questo drammatico tempo di guerra tra Ucraina e Russia. Certo, l’orazione precisa come le armi siano quelle della penitenza e il combattimento sia contro lo spirito del male, che ci devono accompagnare in questo “cammino di vera conversione”. Il Vangelo ci indicava poi tre “armi”: la preghiera, il digiuno e la carità. La preghiera, soprattutto dell’Eucaristia, con cui ci nutriamo dell’ascolto della Parola e partecipiamo al Corpo e Sangue di Cristo, per cercare di realizzare quanto chiederemo con la prima orazione di domenica, cioè di “crescere nella conoscenza del mistero di Cristo e di testimoniarlo con una degna condotta di vita”. La preghiera ci aiuta a prendere consapevolezza che non siamo noi a meritare la nuova vita, pur con il digiuno e gli altri esercizi ascetici che possiamo intraprendere in questo tempo, ma che la salvezza viene da Cristo. Diamo allora tempo alla preghiera, personale e liturgica, in unione con tutta la Chiesa e le Comunità a cui apparteniamo.
Sono però conseguenza della preghiera il digiuno e la carità, espressione dell’atteggiamento interiore, dell’impegno personale. Un digiuno che vada un po’ al di là della semplice astinenza dal cibo: è il digiuno dall’uomo vecchio, dal peccato, la rinuncia alla propria strada per abbracciare quella di Cristo e camminare con lui. Se ci priviamo di un piatto di carne, ma non del rancore o del desiderio di vendetta che abbiamo verso qualcuno, o se facciamo dell’elemosina, ma non togliamo dal cuore l’odio verso i fratelli, o la superbia, non faremo molti progressi. Il rinnovamento interiore viene accompagnato e favorito da un’austerità esteriore che nella pratica può adottare molte forme. Privarci di qualcosa indica il nostro desiderio di ritorno alle cose essenziali della vita: Dio e le sue vie. I vescovi italiani, nel documento “Digiuno e astinenza” affermano che «Per il cristiano la mortificazione non è mai fine a se stessa, né si configura come semplice strumento di controllo di sé, ma rappresenta la via necessaria per partecipare alla morte gloriosa di Cristo… L’impegno al dominio di sé e alla mortificazione è dunque parte integrante dell’esperienza cristiana come tale e rientra nelle esigenze della vita nuova secondo lo Spirito…» (n. 4).
Uno dei segni della giusta comprensione del digiuno è che si espliciti concretamente nella carità. Digiunare, per dare al prossimo. Il digiuno quaresimale, come già detto, non è qualcosa di semplicemente negativo, ma una rinuncia ai nostri appetiti, per aprire le porte a Dio (preghiera) e al prossimo (carità). Le dimensioni del cristianesimo più autentico: «Rimandare liberi gli oppressi, dividere il pane con l’affamato, introdurre in casa i miseri, senza tetto… Non è piuttosto questo il digiuno che voglio?» (cfr. Is 58); «Voglio l’amore e non il sacrificio» (cfr. Os 6).
Non facciamo quindi una Quaresima solo nostra, non siamo soli nella salita verso la Pasqua: c’è innanzitutto Cristo, che una volta per sempre è andato incontro alla morte per meritarci la vita, che continua con noi e in noi lo stesso cammino; anche oggi, con un’attualità misteriosa ma molto reale, diventa il nostro compagno di viaggio, per realizzare in noi la sua Quaresima e la sua Pasqua, l’obbedienza e la vittoria, la morte e la vita. Così, come pregheremo nel prefazio di domenica “celebrando con spirito rinnovato il mistero pasquale, possiamo giungere alla Pasqua eterna”.
don Gian Paolo Orsini