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Chiediamo la pace

Intervista al nostro Vescovo monsignor Guido Gallese

Eccellenza, stiamo vivendo momenti di grande tensione per le drammatiche vicende nella Terra di Gesù che coinvolgono Israele e Hamas. Domanda secca: chi ha ragione?

«Lo capisco, è la domanda che si fanno tutti. Ma non credo sia quella giusta… Bisognerebbe vivere là, in quei territori, per riuscire a capire qualcosa. Tutte le volte che vado in Terra Santa vedo una situazione estremamente complessa, contraddittoria e molto esplosiva: sono di fronte due popolazioni molto determinate, per nulla remissive e poco inclini alla mediazione. Non hanno nel loro Dna il concetto di perdono».

Non è dunque possibile avere la pace in quella zona… che si fa, allora?

«Sha’alu shalom Yerushalayim: “Domandate pace per Gerusalemme” dice il Salmo. È un versetto che mi è sempre piaciuto, sia per la musicalità sia per il contenuto. Ecco, così come la chiediamo per l’Ucraina, bisogna domandare la pace nella Terra di Gesù. Deve accadere una conversione dei cuori».

Come si fa ad avere speranza in tempi così cupi?

«Tra israeliani e palestinesi il problema è che i principi vengono usati più come scudo che come terreno di incontro. Umanamente parlando, le speranze non sono tantissime. La situazione è davvero incancrenita. Io, quando vado in Israele, rimango sconcertato dalle piccole cose quotidiane…».

Per esempio?

«Non va bene che quando giro per Gerusalemme ci siano dei bambini ebrei osservanti che mi sputano davanti ai piedi: questa è la loro educazione, ed è una pessima educazione. E nemmeno vedere degli ebrei osservanti che cercano di schivarmi per questioni di purità rituale… si capisce che sono proprio infastiditi dalla mia presenza. Ecco, questi atteggiamenti hanno una loro profondità, sono molto radicati. Senza dimenticare che, dall’altra parte, ci sono gli arabi che provano un odio sordo nei confronti degli ebrei».

Possiamo “collegare” in qualche modo l’Apocalisse con quello che sta succedendo oggi in quelle terre? O è improprio?

«È improprio. L’Apocalisse è il libro profetico del Nuovo Testamento, l’unico nella sua interezza. E l’Apocalisse ha questa caratteristica: che la profezia non è fatta per delineare gli eventi futuri in modo chiaro, ma è fatta perché tu, quando li vivi, li possa riconoscere».

Lei sta “riconoscendo” qualcosa?

«No, non ancora. A parte il fatto che sempre più cristiani vengono uccisi nel mondo. Sono tanti i nostri fratelli e sorelle che sono perseguitati, sempre di più. La più grande persecuzione non è stata quella di Diocleziano, è quella del XXI secolo. È una situazione tragica. Dell’Apocalisse mi vengono in mente le anime dei martiri che da sotto l’altare gridano a Dio chiedendo giustizia per il loro sangue: “Fino a quando, Sovrano, tu che sei santo e veritiero, non farai giustizia e non vendicherai il nostro sangue contro gli abitanti della Terra?”. Questo è il quinto sigillo, quello che dà un’impronta escatologica, cioè comincia a orientare l’Apocalisse verso il compimento finale. I settenari nell’Apocalisse sono fatti di sette elementi, quattro più tre. I quattro esprimono come va il mondo: c’è Cristo che ha vinto la morte, c’è la violenza, la carestia a seguito dell’ingiustizia economica, e poi c’è la morte. Così va il mondo, con questi quattro elementi. Ma poi c’è un punto in cui il sangue dalla Terra grida a Dio, le anime dei martiri gridano a Dio. A ciascuno è data una veste candida, come segno della partecipazione alla risurrezione di Cristo, e viene detto loro di pazientare ancora un poco, finché sia completo il numero dei loro compagni di servizio e dei loro fratelli che devono essere uccisi. Così allora comincia il processo: devono aspettare perché c’è un angelo che va a segnare con il sigillo di Dio sulla fronte le persone e i suoi servi. Non necessariamente sono martiri, ma sono i servi di Dio, quelli che servono il Signore. Poi alcuni di loro vengono uccisi, ma non tutti. Pensiamo alla Cresima, quando si segna col sigillo sulla fronte del cresimando: “Ricevi il sigillo dello Spirito Santo che ti è dato in dono. Amen. La pace sia con te”. Quest’ultima frase è estremamente provocante, perché quello che viene dato a ogni cristiano è la pace come dono. Ma la pace non coincide con l’assenza della guerra. Anzi: ti viene data la pace anche nella guerra».

Noi invece vorremmo che la guerra non ci fosse.

«Sì, perché abbiamo una concezione “comoda” della vita, che coincide con lo starsene quieti».

Non c’è solo la guerra in Medio Oriente: in fondo, ognuno di noi è in uno “stato di guerra” verso gli altri.

«Esatto, ed è l’aspetto che dovremmo curare. È una riflessione che ho fatto ai seminaristi in questi giorni, parlando della formazione sacerdotale. Quando facciamo guerra a una persona, siamo fuori strada. Gesù non ha mai fatto guerra a nessuno e ha lasciato che gli altri facessero guerra a lui. Essendo mite e umile di cuore, e obbediente fino alla morte, alla morte in croce. Se vogliamo pregare per la pace con frutto, dobbiamo smettere di fare la guerra. Altrimenti la nostra è una preghiera che non fa neanche un metro in altezza: se da una parte porto avanti le mie guerre quotidiane e poi, dall’altra, prego per la pace, allora non funziona. Metti pace in te! Devi guerreggiare soltanto contro gli spiriti maligni. San Paolo nella Lettera agli Efesini, capitolo 6, scrive: “Indossate l’armatura di Dio per poter resistere alle insidie del diavolo. La nostra battaglia infatti non è contro la carne e il sangue, ma contro i Principati e le Potenze, contro i dominatori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti” (tra l’altro, questo è il sesto brano proposto alla meditazione nella Lettera pastorale di quest’anno). Prosegue così: “Prendete dunque l’armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno cattivo e restare saldi dopo aver superato tutte le prove”. Poi descrive un’armatura partendo dai fianchi: “State saldi, dunque: attorno ai fianchi, la verità; indosso, la corazza della giustizia; i piedi, calzati e pronti a propagare il Vangelo della pace”».

Ma come, prima un abito da guerra e poi il Vangelo della pace?

«La nostra guerra è tutta capovolta. Nell’Apocalisse 19,13 si legge: “È avvolto in un mantello intriso di sangue e il suo nome è Verbo di Dio. Gli eserciti del cielo lo seguono su cavalli bianchi, vestiti di lino bianco e puro. Dalla bocca gli esce una spada affilata per colpire con essa le genti. Egli le governerà con scettro di ferro e pigerà nel tino il vino dell’ira furiosa del Dio onnipotente”. E cosa succede? Che in realtà questa battaglia non viene descritta, perché la vittoria di questa battaglia è in virtù non del sangue versato dai nemici, ma del sangue di Cristo. Quel sangue del mantello, quello ti fa vincere! Quando fai una lotta spirituale, la vinci per lo spargimento del sangue. Del tuo sangue».

E come ci si accorge di aver vinto?

«Te ne accorgi perché la vittoria di questa battaglia spirituale ti dà una pace innominabile, indescrivibile e chiaramente non umana. Si chiama letizia».

E adesso, da cristiani, che facciamo?

«Preghiamo».

Preghiamo e basta?

«Preghiamo, digiuniamo. E se abbiamo a portata di mano delle opere di riconciliazione, poniamole in atto. Portiamo la pace tra la gente, perché la guerra è un brutto virus. Ed è vicino…».

Andrea Antonuccio

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