Domenica 4 febbraio, Veglia per la vita: la testimonianza di una donna nigeriana
Buonasera, mi chiamo Betty e vengo dalla Nigeria. La mia storia inizia nel 2014. Ho vissuto con un uomo violento che mi ha sempre picchiata, ridicolizzata, disonorata e cacciata di casa accusandomi ingiustamente: così sono dovuta scappare per salvarmi la vita. La sua famiglia non mi ha permesso di prendere il mio bambino più piccolo e non potevo nemmeno andare a casa dai miei genitori perché non mi avrebbero mai riaccolta: erano stati convinti dalla famiglia di lui a non farlo. Ho deciso allora di andare a casa di un uomo che aiutava le persone ad andare via dalla Nigeria per arrivare in Egitto, con la promessa di trovare un lavoro. Con i soldi che avevo e la vendita della mia piccola attività di vestiti e borse ho iniziato il viaggio senza voltarmi più indietro, ansiosa di cambiare la mia vita e poi un giorno di tornare a prendere i miei due figli (Samuel di 14 anni e Samson di 13).
Il viaggio nel deserto è stato duro: le persone che ci hanno trasportato nel furgone ci picchiavano e ci trattavano male. Alcuni miei compagni di viaggio sono morti; ho dovuto dormire su una tomba, ho visto persone riposare sui morti. Arrivata in Libia, sono stata indirizzata in una casa dove mi hanno maltrattata e mi hanno chiesto di vendere il mio corpo; mi sono rifiutata e sono andata via per cercare un lavoro onesto ma mi hanno picchiata così tanto che mi hanno strappato le trecce, facendomi uscire il sangue dalla testa. Non mi sono fermata e ho proseguito avendo fede che un giorno sarei stata salvata, nonostante tutte le sofferenze e la decisione di non vendere il mio corpo, senza mai smettere di pregare. Ho fatto tanti lavori in quel periodo, ma non sono stata quasi mai pagata e un giorno sono stata anche rapita: ma Dio mi ha liberato di nuovo. Ho deciso quindi di trasferirmi a Misurata dove ho iniziato a lavorare con un altro capo che, come nei lavori precedenti, si è rifiutato di pagare. In mezzo a tutte queste tribolazioni Dio aveva guidato i miei passi.
L’unica soluzione era andare via dalla Libia e con altre persone ci siamo incamminati… Ho digiunato e pregato per un mese ogni giorno prima di arrivare al mare, dove c’era la coda delle persone che aspettavano di imbarcarsi. Io pensavo che sarebbe stata una nave a portarci ma quando ho visto che era un gommone mi sono spaventata: volevo tornare indietro ma sono stata costretta a salire. Ho obbedito, perché sapevo che queste persone erano pericolose.
Nel viaggio la nostra barca si è rovesciata. Siamo caduti in mare e mi sono ricordata di aver detto: «Se questo è il mio ultimo minuto di vita, Dio perdonami di tutti i miei peccati e proteggi i miei figli». Stavo aspettando la morte ma una nave è venuta a salvarci per portarci in Italia, questo bellissimo Paese, a Foggia presso l’associazione “A casa di Sarah e Abraham ed Emmaus”. Dopo aver ottenuto i documenti mi è stato detto di lasciare il campo e così ho trovato lavoro vicino a Piacenza, a Ponte dell’Olio. Lavoravo 12-15 ore al giorno per 20 euro: a quell’epoca non sapevo parlare italiano. Ho lasciato il lavoro perché ero debole e avevo bisogno di riposo: volevo una vita migliore, tutte quelle ore al giorno erano troppe per me e pagavano poco. Desideravo andare a scuola ma dovevo risiedere qui al Nord.
Così mi sono trasferita a Spinetta Marengo per affittare una stanza, ma non avevo i soldi per pagarla e per mangiare. Ho pregato e pianto tutta la notte, e al mattino sono andata a chiedere l’elemosina davanti al supermercato, dove ho conosciuto l’uomo che sarebbe poi diventato mio marito, Victor. Lui, come me, non aveva i documenti e faceva dei lavori agricoli: mi ha incoraggiata tanto ad andare a scuola. Sono poi rimasta incinta di Michelle: è stata una gravidanza dolorosa e un giorno, mentre ero sull’autobus c’è stato un incidente. Sono rimasta colpita alla pancia e mi hanno ricoverato più volte in ospedale. Il giorno in cui dovevo partorire, mio marito, lì con me, si è accorto che mi tremavano gli occhi e le mani: ha chiamato i medici che mi hanno portato di corsa in sala operatoria. Sono rimasta in terapia intensiva e i medici gli dissero che non sapevano se mi sarei svegliata. Mio marito ha iniziato a pregare Dio: sono uscita dopo una settimana. Il Signore ha ascoltato la sua preghiera e mi ha salvato!
Quando stava per nascere il mio quarto figlio, Raphael, sono andata al Centro aiuto alla Vita di Alessandria, dove sono stata accolta e ho ricevuto tanto conforto e sostegno materiale. Sulla mia storia ho scritto anche un libro nel 2022: “La mia angoscia”, che ho pubblicato su Amazon. Sono così grata a Dio per avermi dato una seconda possibilità di vivere, sono grata a Dio per tutto.
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