«Oggi non basta suonare le campane per portare i ragazzi in Chiesa,
ma siamo noi a dover metterci in cammino e andare verso le loro realtà»
Dal 6 al 9 maggio, a Sacrofano (Roma), si è svolto il 18° Convegno nazionale di Pastorale giovanile. Il tema centrale è stato “Domine quo vadis?” (“Signore, dove vai?”). Per farci raccontare l’esperienza del convegno abbiamo contattato don Riccardo Pincerato, nuovo responsabile del Servizio nazionale di Pastorale giovanile. «Sono un sacerdote di quasi 35 anni. Sono nato a Vigonza, nella Diocesi di Padova, ma ho iniziato il seminario a Vicenza, tra la prima e seconda superiore. Prima il seminario minore e poi quello maggiore, fino ai 25 anni, quando sono diventato sacerdote. Poi ho fatto alcuni anni da viceparroco e tre anni da incaricato diocesano di Pastorale giovanile. E da poco, da ottobre 2023, è iniziata la mia “avventura” come responsabile del Servizio nazionale di Pastorale giovanile».
Don Riccardo, com’è cambiata la tua vocazione dopo questa novità?
«Bella domanda, questa (sorride). Banalmente, potrei dire che è cambiato tutto. Per essere più specifico: è cambiato il mio sguardo. La realtà nazionale necessita di avere uno sguardo aperto, lungo, largo e profondo. È un servizio che chiede di tenere ben aperti gli occhi su una realtà composita come quella italiana. E poi occorre allargare il proprio cuore e le prospettive, in modo da poter percepire e captare i “fili rossi” che possono accomunare realtà differenti. In questi mesi è stato utile ampliare lo sguardo all’interno della Conferenza episcopale, conoscere come altri uffici si stanno interessando e investono nel mondo giovanile. Il primo passaggio, infatti, è stato non dare per assodato nulla, ma girare per l’Italia e incontrare più persone. Il secondo passaggio è stato mettersi dentro un ruolo diverso, riconoscere che c’è una abitudine diversa, una responsabilità diversa».
E la tua fede?
«In mezzo a questi cambiamenti, la mia domanda è stata: “Signore, come ci giochiamo la partita tra me e Te?”. Quando avevo 14 anni e ho iniziato a maturare la volontà di diventare sacerdote, mai avrei pensato di poter svolgere questo tipo di servizio. È bello e prezioso pensare e sentire che è una partita aperta, con il Signore. Che è ancora tutto in gioco e, insieme, ci giochiamo queste sfide e opportunità».
Qual è l’esigenza maggiore che vedi nei giovani?
«L’esigenza dei giovani è trovare dei punti di riferimento, trovare accompagnatori: persone che desiderano camminare insieme con loro. L’accompagnatore diventa un compagno di strada che ha fatto qualche passo in più, e dice: “Questi passi te li restituisco, li condivido con te”. Il compagno di strada ha fatto più passi verso l’essere adulto. E per un giovane diventa fondamentale avere un punto di riferimento, dal punto di vista umano e di fede. Un supporto per far rendere questo tipo di bisogno strutturale. Allora occorre una Chiesa che raccoglie, mette in rete, collega, crea una comunità di compagni di strada».
E la Chiesa è sintonizzata su questa esigenza? Alla Gmg di Lisbona del 2023 erano presenti migliaia e migliaia di giovani italiani che magari non frequentano le parrocchie. Dove sono adesso quei ragazzi?
«Loro stanno vivendo, sono nelle loro università, negli ambienti di lavoro. Sono nel mondo. Credo che la domanda vada ribaltata… Non domandiamoci dove sono, perché questo presuppone che noi Chiesa siamo al centro. La domanda vera è: “La Chiesa dov’è rispetto alla loro vita?”. Oggi non basta suonare le campane per portare i giovani in Chiesa, ma siamo noi a dover metterci in cammino e andare verso le loro realtà. I giovani non sono contrari a un incontro con delle figure che vogliono camminare in questa direzione: sono contrari a chi li vuole recintare, mettere all’interno di scatole ormai vecchie. Allora, non solo dobbiamo rinnovare i nostri ambienti, ma anche il nostro sguardo, la nostra postura. Insomma, una Chiesa in uscita, che poi è uno degli inviti che il Papa fa dall’inizio del suo pontificato. Non significa buttare via tutto, ma renderci prossimi, vicini alle varie realtà e ai vari volti».
Che cosa porti a casa dal convegno di Sacrofano?
«Abbiamo toccato vari punti. Si è parlato di cura dell’educazione, adultità e comunità. Abbiamo vissuto un momento di condivisione con le altre religioni in Italia: è stato un evento molto alto e sentito. L’altro aspetto trattato è stato il metodo che può diventare contenuto. Un convegno composto da tre dimensioni: la parte delle relazioni, dell’esperienzialità e quella laboratoriale. Queste tre dimensioni hanno parlato, hanno creato quel clima di scambio e condivisione per far sì che ci fosse una intelligenza condivisa. I vari partecipanti non erano oggetto di relazione, ma un soggetto formante in grado di portare qualcosa in più. Anche in quel caso c’era il desiderio di rapportarsi con chi frequentava il convegno con figure adulte: questo diventa arricchente».
Un invito agli uffici di Pastorale giovanile di tutta Italia.
«Ritorno al convegno. Siamo partiti con le quattro parole che ho citato prima: cura, adultità, comunità e comunione. Ne ho restituite altre quattro, che ci indirizzano a un cammino verso un’identità di servizio, con persone che mettono al centro queste caratteristiche. Ovvero: mitezza, umiltà, rispondenza alla realtà, e gratitudine. Le prime due riprendono le immagini di Gesù: “Venite a me che sono umile e mite di cuore”. Rispondenza alla realtà ci parla di un Gesù obbediente fino alla morte e alla morte di croce. E, infine, gratitudine: una dimensione centrale dell’essere adulto. Chi è che può essere grato? Chi non dà nulla per scontato, quanto piuttosto colui che sa che dipende dall’altro. Auguro alle Pastorali giovanili di poter rimanere in questa apertura, di restare appassionate alla vita dei giovani e alla vita della Chiesa. Affinché queste due realtà possano a camminare insieme».
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