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Pride e dintorni: la fede serve solo a condannare gli altri?

Care lettrici,

cari lettori,

sabato prossimo la nostra città ospiterà il Pride. Gli organizzatori hanno spiegato così le ragioni dell’evento: “Tessere Le Identità, insieme al coordinamento pride, sta organizzando alPride 2024 per celebrare l’orgoglio LGBTQIA+ e difendere i diritti della nostra comunità”. L’affluenza, secondo i promotori, è stimata “tra le 5 mila e le 10 mila persone”. Si vedrà. Nell’attesa, faccio un salto indietro nel tempo. Era il 1° giugno 2019, prima edizione del Pride alessandrino. Noi di Voce cercammo di raccontarvi l’evento, partendo dall’umanità delle persone. E dunque andammo alla sfilata, dove incontrammo anche diversi giovani delle nostre parrocchie. Ebbene, da quel nostro tentativo emersero alcuni spunti interessanti, che finirono su Voce. Ma la “bomba” ci scoppiò tra le mani: ricevemmo pochissimi apprezzamenti e tante critiche. Queste ultime, spiace dirlo, soprattutto dai preti. Sette giorni dopo, al termine dell’Assemblea Diocesana uno di loro mi apostrofò con queste parole: «Devi scrivere su Voce quello che dice il Catechismo, devi farlo!». Non lo feci allora, e non lo farei nemmeno oggi. Non perché il Catechismo non sia più “valido”, ma perché mi sono stancato di rifugiarmi (o di nascondermi, meglio) dietro a un libro. Dietro a delle parole, per quanto vere e sante siano. Io le persone le voglio incontrare: mi ripugna classificarle secondo la loro adesione a una dottrina, fosse anche quella cattolica. Dovremmo partire dal fatto che abbiamo tutti un desiderio di felicità, che cerchiamo di soddisfare. Come scriveva Leopardi: «Il non potere essere soddisfatto da alcuna cosa terrena, né, per dir così, dalla terra intera; considerare l’ampiezza inestimabile dello spazio, il numero e la mole maravigliosa dei mondi, e trovare che tutto è poco e piccino alla capacità dell’animo proprio; immaginarsi il numero dei mondi infinito, e l’universo infinito, e sentire che l’animo e il desiderio nostro sarebbe ancora più grande che sì fatto universo; e sempre accusare le cose d’insufficienza e di nullità, e patire mancamento e voto, e però noia pare a me il maggior segno di grandezza e di nobiltà, che si vegga della natura umana». Se non capiamo questo, non capiremo più nulla… nemmeno quel Signore che è venuto a salvare il mondo, non a condannarlo, come invece faremmo noi se fossimo al Suo posto. A questo serve la fede? A mandare gli altri all’inferno?

Andrea Antonuccio

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