Non ero ancora nato quando Aldo Moro è stato rapito e poi ucciso. Di quel periodo, ho solo letto sui libri gli avvenimenti, le date e i luoghi, ma grazie alle fotografie ho potuto leggere negli occhi delle persone lo sgomento e l’incredulità. Il nome stesso che i giornalisti diedero a quel periodo mette i brividi: gli “anni di piombo”. Furono gli anni degli omicidi di Pasolini, Moro e Impastato, delle stragi di piazza Fontana, piazza della Loggia, dell’Italicus e della stazione di Bologna, delle rivendicazioni ideologiche, della mafia. Anni di immensa tristezza e dolore che hanno spaccato in due il cuore degli italiani innestando il seme della paura e dell’incertezza. Davanti a questo pezzo di storia mi faccio sempre la stessa domanda: perché? In nome di cosa, di quale futuro, di quale idea di società occorre uccidere? Lavorando a questo numero di Voce sono incappato su questo pezzo di lettera scritta da Moro al nipote Luca, e che dice: “Ti sarò accanto la notte, per cogliere l’ora giusta della pipì, e farti poi dolcemente riaddormentare”. Fa un po’ ridere che Aldo Moro, scriva queste righe, ma la straordinaria ordinarietà di questa frase è esattamente l’antidoto a quella paura. Un nonno che affronta ogni giorno il timore di poter essere l’ennesima vittima, che rassicura il nipote di riuscire a essere con lui, soprattutto quando sembra non ce ne sia bisogno: durante il sonno. Assomiglia molto al trattamento che Dio riserva ai suoi figli: la certezza di esserci, anche quando pensiamo non ce ne sia bisogno.
Enzo Governale
@cipEnzo