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«Sono le persone a farmi sentire a casa»: il segreto del Collegio sta nelle relazioni

L’intervista ai protagonisti

Dopo aver capito perché e con che spirito si è deciso di aprire questo collegio agli studenti universitari, sono passata a verificare di persona come si fa concretamente a vivere queste mura non come un dormitorio ma in modo “diverso”.

Carlotta, come si fa a far sentire i ragazzi come a casa?
«Concretamente quello che è più visibile è che per noi i ragazzi non sono “numeri” o “utenti” ma sono Giovanni Francesco Giorgia… il gesto in cui si manifesta la cura è di trattarli come gli abitanti di una casa dove di fatto siamo insieme, con le attenzioni che possono andare dal fermarsi a bere il caffè con loro al trovare il tempo di chiedere com’è andato l’esame. Piccoli gesti di cura che non mi fanno sentire un soggetto fisico ma una persona vista, guardata. Le attenzioni che come equipe cerchiamo di avere sono proprio quelle che riserveremmo ad una persona di famiglia. Ricordo che il primo anno mi impegnavo ad accompagnarli fisicamente in quelli che erano i primi tragitti collegio-università, per tranquillizzarli sul fatto che la strada era effettivamente molto breve. Un altro strumento che credo li abbia fatti sentire a casa è lo sforzo che stiamo facendo per far capire loro il rispetto per le regole, la cura per gli ambienti del collegio attraverso le piccole norme di convivenza. Potrebbe sembrare un aspetto scontato ma vi assicuro che non lo è: abitando insieme vengono fuori tante piccole cose che possono trasformarsi in criticità che alterano gli equilibri. Proprio come in una casa, lo sforzo è quello di trovare un punto comune e di rispettare le regole. Mi stupisce sempre quando i ragazzi mi chiedono cose tipo “comperiamo un’aspirapolvere, così teniamo più pulita la cucina”. Questo mi fa capire che vivono questo luogo come loro, perché a casa propria si ha un amore anche per gli spazi fisici».

E tu Carlotta ti senti a casa? Dove hai imparato a fare la direttrice?
«All’inizio di questa avventura speravo che ci fosse un manuale completo che mi insegnasse come essere la direttrice perché avevo molte preoccupazioni e sentivo, e sento ancora oggi la responsabilità di questo ruolo. Poi ho capito che non c’era, e ho deciso di attingere da quella che è stata la mia vita da studentessa: ho studiato in un’altra città, a Pavia, vivevo con delle coinquiline. Mi sono immaginata che cosa avrei voluto in più nella mia esperienza universitaria, che cosa avrebbe potuto segnare una piccola differenza, che cosa mi sarebbe stato utile. Ho attinto anche dalla mia esperienza come insegnante di religione, dove imparo ogni giorno come stare con i ragazzi, ma anche da Don Bosco e dalla sua ricerca del punto accessibile al bene in ogni giovane. Non da ultimo ho fatto appello anche alla mia sensibilità: sicuramente il mio modo di essere direttrice rispecchia anche molto quello che io sono, credo che i ragazzi vedano una direttrice che è proprio…Carlotta, perché alla fine io sono così. E’ per questo che io mi sento a casa, perché in fondo io mi mostro in collegio come mi mostro a casa mia. Avendo in mente il progetto della diocesi che non era solo un offrire un luogo fisico dove stare per gli universitari ma metterci un qualcosa in più, un’altra componente forte del mio incarico come direttrice è il tentativo di far sì che in questo luogo si percepisca un bene, una relazione. Mi sforzo di amare semplicemente i ragazzi, nella quotidianità, nei piccoli gesti. E il passaggio in più che facciamo come equipe è quello di relazionarci con loro mostrando che c’è un gruppo di persone che lavora per il collegio e che lo fa in virtù di un’amicizia, di una stima reciproca. Cerco proprio di trasmettere agli studenti che sono felice di passare un anno con loro o il tempo che ci sarà dato da passare insieme».

Vediamo se i ragazzi condividono questo pensiero.

Voi come la vivete?
«Se sei arrabbiata, scendi in cucina e ti passa»: con questa semplice metafora dal sapore casalingo, Marta Foraci (in mazarese, a voler essere precisi, andrebbe pronunciato “Forasci”), sintetizza l’atmosfera percepita dai giovani ospiti del collegio. Marta ha 24 anni e da grande vorrebbe fare l’avvocato divorzista: «È un settore del civile molto interessante, ho capito che è la mia vocazione. Mi piace l’idea di aiutare la parte debole a far sentire i suoi diritti».

Dalla natìa Mazara del Vallo è passata per Milano ed è approdata qui ad Alessandria “per ragioni sentimentali». Ora, grazie anche all’esperienza all’interno del Collegio, ha trovato la sua dimensione: «Mi trovo bene, mi sento a casa. La città? È accogliente ma un po’ grigia. La nebbia che ho visto qui, mai da nessuna parte al mondo. E non parliamo delle zanzare, grandi come una mano». Al netto delle avversità climatiche e della fauna, «qui ho fatto delle belle amicizie: tutti e 40 i giovani del collegio sono sempre pronti a farti un sorriso. È un posto dove riesci a conciliare lo studio e il divertimento: non dovete immaginarvi un villaggio turistico, i miei compagni d’avventura sono ragazzi tranquilli ma gioiosi». Uno dei momenti di aggregazione più gettonati è quello attorno alla tavola: «Mi piace cucinare, ma per 40 è un po’complicato». Anche se le idee non mancano (vedi box con la ricetta). «La cosa che rende questo collegio casa per me sono le persone che ci vivono» racconta Anna Castellini, 20 anni, terzo anno di biologia. «Io sono qui da due anni e conosco persone con cui ho legato particolarmente: sono proprio quelle persone che mi fanno sentire a casa. Quando torno a Brescia per esempio mi manca Alessandria, mi manca il Collegio, ma non perché io ami particolarmente passare tutto il mio tempo a studiare ma perché vorrei passare ancora del tempo con queste persone che sono diventate mie amiche».

La città non offre molto in termini di intrattenimento per i giovani, ma «noi troviamo sempre qualcosa da fare e anche quando ci si annoia lo si fa insieme, si ride si scherza e passare la sessione d’esame diventa un tempo più leggero». Chi ti fa sentire a casa quindi è proprio l’umanità che popola queste mura: «Mi fanno sentire quasi come in famiglia. Quest’età è tutta un po’particolare: devi crescere, devi capire, inizi le prime esperienze fuori casa, devi gestirti, cucinare e lavare… non è per niente semplice e avere sempre qualcuno su cui contare non è male».

 

 

Pasta fritta del Collegio

Mangiare insieme quando devi preparare la sessione d’esame e non sei nella cucina di casa tua potrebbe essere comunque una bella esperienza di comunità: basta avere le ricette giuste. La premiata ditta di Anna&Marta ad esempio ha un asso nella manica: la pasta fritta. Per prepararla basta fare un soffritto di cipolla in una padella capiente con due cucchiai d’olio. Quando la cipolla si è dorata, versare una bottiglia da un litro di passata di pomodoro e impreziosire con un cucchiaino di zucchero e uno di sale. Nel frattempo, far bollire l’acqua e buttare 400 g di spaghetti. Scolarli e metterli nella padella. Lasciar riposare il tutto, andare a studiare e la sera tirare fuori la padella, aggiungere due tocchetti di burro e un velo di parmigiano e riscaldare fino a che il parmigiano non fa “la crosticina”.

Speciale a cura di Zelia Pastore

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