Una residenza universitaria diversa dalle altre: in famiglia anche lontano dai propri cari
Un collegio di ispirazione cristiana, dove chi viene accolto non trova solo un letto e un posto dove mangiare e dormire ma un luogo in cui ognuno è chiamato a vivere come se fosse in famiglia, dove ci si guarda, ci si aiuta e ci si rispetta vicendevolmente. Che il Santa Chiara sia un collegio diverso dalla residenza universitaria media che offre il territorio italiano (o ancor peggio, dagli appartamenti condivisi dagli studenti) lo si capisce appena si varca la soglia d’ingresso e ci si imbatte nella gigantesca scritta colorata su muro bianco all’interno della struttura: “Bentornato a casa!”. Una cappella, 43 posti letto, un salone per il tempo libero (il salone san Francesco), tanti ambienti pensati per lo studio, una cucina dove i ragazzi possono prepararsi i pasti da soli e presto anche un ristorante all’interno, il “Favorite!” con proposte pensate per i giovani. E come se non bastasse, una direttrice giovane e disponibile che segue gli ospiti nel loro percorso con un occhio quasi materno e un’equipe educativa che si occupa della cura formativa e relazionale del Collegio. Scopriamolo, a partire dalla fondazione.
Eccellenza, come è nata l’idea di aprire agli studenti universitari il collegio Santa Chiara?
«Dalla comunità civile alessandrina è venuta fuori l’esigenza di rispondere ad un bisogno concreto, ovvero di dare dei posti letto agli studenti universitari. L’Università lo ha detto con chiarezza durante l’inaugurazione dell’anno accademico. Per lo sviluppo del polo alessandrino dell’Università del Piemonte orientale era necessario che la città si attivasse per creare queste soluzioni abitative per i ragazzi. Visto che la Diocesi aveva questo edificio, che era già un collegio (non universitario) tanti anni fa, abbiamo deciso di ristrutturarlo e dare all’impresa sociale “Salve” la gestione dei servizi. Il nostro intento però non era quello di fare gli affittacamere ma di far vivere i ragazzi secondo un certo stile».
Ma cosa ha esattamente di diverso rispetto agli altri secondo lei?
«Tante cose. Ad esempio, una direttrice che ha un occhio educativo e che non è lì solo per controllare che paghi la retta ma sta attenta al fatto che tu proceda nel tuo percorso formativo e didattico, che tu stia bene e che gli spazi del collegio siano utilizzati per fare comunità. Ci sono dei momenti pensati per fare comunità: serate in cui si mangia insieme, incontri e appuntamenti con degli esperti. Il collegio poi è di ispirazione cristiana: non vengono richiesti certificati di battesimo per l’ingresso, ma ai suoi ospiti vengono fatte delle proposte del tutto facoltative sui temi della fede. Si può fare adorazione nella cappella e c’è la possibilità di dire il rosario assieme alla comunità di giovani della diocesi che si vedono in collegio per pregare».
In breve (per i pigri)
Speciale a cura di Zelia Pastore