La voce del lavoro
Situazione lavorativa? “Impiegato presso me stesso”, “libero professionista”. Nel 2020 chi ha un lavoro vive l’ansia di perderlo e chi non ce l’ha (specialmente se giovane e senza esperienza) fatica a trovarlo, cercando di presentarsi come può sia sui curriculum che sui social network. Di come scrivere un curriculum vitae che catturi l’attenzione abbiamo parlato nello scorso numero di Voce (trovate l’articolo sul sito) ma forse non tutti sanno che un altro elemento fondamentale nella ricerca di un nuovo impiego è la cura che si mette nei propri profili sui social. Quali sono gli elementi fondamentali da tenere presente? Per orientarci in questo campo abbiamo chiesto aiuto a Gian Marco Mandrini, 60 anni, consulente e formatore Osm (Open source management), una società che opera nel campo della consulenza aziendale e della formazione e selezione del personale: la sede è a Bologna ma lui opera tra Alessandria e Asti. Lo abbiamo conosciuto nel numero 34 di Voce: è infatti un ex studente del Collegio Santa Chiara di Alessandria.
Gian Marco, presentati come se stessi scrivendo la tua bio dei social.
«Sono nato e cresciuto ad Alessandria e ho 60 appena compiuti (ma io me ne sento 18 e chi mi vuole bene mi dà ragione). Situazione sentimentale: sposato. La fede? Mi definisco un “cattolico a praticanza alternata”: non ho una parrocchia di riferimento, anche perché purtroppo non sempre sono luoghi dove si tocca con mano la misericordia. Ma non manca weekend in cui io non metta piede in una chiesa, da solo o con mia moglie. Entro attirato dalle bellezze artistiche e finisco sempre in ginocchio a contemplare Dio. Chi mi vuole bene dice di me che sono aperto e caloroso».
Torniamo un attimo al tema cv: in redazione ci sono arrivate mail che ti chiedevano: “ma gli hobby posso metterli?”
«Si, sempre usando il criterio del buonsenso e provando a mettersi nella mente del selezionatore. Per esempio, se un’azienda cerca un grafico o un orafo, sapere che il tuo hobby è costruire modellini di barche a vela in miniatura è un’informazione utile. Se invece vorrebbe assumere una persona da mettere al servizio reclami e vede alla fine della tua presentazione che ha frequentato gli scout o ha fatto volontariato con i bambini, può presupporre che abbia buone doti di empatia: questo potrebbe orientare la scelta su di te».
Passiamo ora proprio ai social network: se cerchiamo lavoro, come dobbiamo curarli?
«Essenzialmente, deve esserci un filo logico e di continuità tra cv e social, sia a livello di contenuti che di estetica. L’immagine che dobbiamo dare di noi deve essere il più “pulita” possibile: evitiamo foto dove potremmo trovarci in déshabillé, magari pubblicate da nostri amici e cerchiamo di condividere scatti gradevoli ma sobri. Tralasciamo pensieri scritti di getto, suscitati dalla “pancia” e non dalla testa. Da bandire anche esternazioni che ci possano esporre politicamente. Il tono andrebbe mantenuto sempre pacato e i contenuti dovrebbero essere adeguati al social network che stiamo utilizzando».
Facciamo un esempio pratico.
«Linkedin non è Facebook: va capito bene che stile usare per ogni social e a che pubblico si riferisce. Se sei un grafico o un videomaker Instagram è un’ottima vetrina. Se sei un laureato alla ricerca di un impiego e vuoi proporti in un ambito business va bene Linkedin, ma bisogna ricordarsi che è una piattaforma dedicata al mondo del lavoro e quindi non è il luogo “virtuale” dove condividere contenuti leggeri e divertenti. Quando si scrive una qualsiasi frase sui social, vanno sempre tenute a mente due parole: low profile (basso profilo, ndr)».
Puoi spiegarci meglio?
«Bisognerebbe aiutare tutte le persone, giovani e meno giovani, a capire questo concetto. I social sono potenzialmente pericolosi perché una frase scritta di getto in un momento di rabbia, se vista da un selezionatore del personale, potrebbe costarti il posto: potresti essere scartato per quel commento fuori luogo o quella foto inadeguata. Ogni volta che condividiamo qualcosa sul nostro profilo, ricordiamoci che potrebbe vederla il nostro datore di lavoro. Se proprio dobbiamo commentare, cerchiamo di scrivere in modo che una persona che la pensa in modo diverso da noi non si senta offeso».
Per chi desidera approfondire, tanti altri spunti fondamentali per capire il mondo del lavoro oggi si trovano nel libro “I nuovi condottieri” di Paolo A. Ruggeri (Engage Editore), uno dei fondatori della Open Source Management.
La Bibbia che parla ai lavoratori
«La Chiesa si deve occupare dei lavoratori perché l’impegno di ciascuno nel lavoro è una vocazione: bisogna avere cura non solo dei prodotti del lavoro, ma anche delle relazioni che nascono nella produzione». Don Ivo Piccinini, Parroco di S. Michele Arcangelo a San Michele è il delegato vescovile della Pastorale Sociale e del Lavoro, l’ufficio diocesano che abbiamo imparato a conoscere nello scorso numero di Voce con la testimonianza di Roberto Massaro. «Noi siamo abituati a pensare al lavoro come un’occupazione dipendente o stipendiata, ma l’accezione dovrebbe essere più ampia: si riferisce proprio al ruolo che una persona riveste nella comunità. Se una persona svolge le proprie mansioni con negligenza, deve pensare che il danno riguarda la società intera, non solo chi lo paga».
Ci sono dei passi della Bibbia che ci possono aiutare nella comprensione di questo?
«San Paolo nella prima lettera ai Corinzi dice che l’umanità è un corpo dove ogni organo ha la sua funzione, indispensabile al funzionamento dell’organismo. E così è anche per l’uomo: non ci sono lavori più importanti o meno importanti. Ancora, abbiamo cristallizzato l’attenzione sulla separazione tra lavoro dipendente e chi organizza il lavoro, ovvero gli imprenditori, ma non è corretto: tutti devono fare la loro parte, qualunque sia il proprio lavoro».
E nell’Antico testamento?
«Nella Genesi vediamo come Dio abbia voluto che il lavoro diventasse complemento della creazione stessa ed elemento fondamentale del vivere comune: “Tu custodirai il giardino”, ha detto all’uomo. Il Signore ha fatto il giardino e l’umanità intera ne è sua custode. Se prima il lavoro era gioioso, dopo il peccato originale il disegno di Dio è sconvolto e il lavorare è diventato duro e faticoso».
C’è qualche parabola che ci può aiutare a riflettere sul lavoro?
«Qualche domenica fa abbiamo ascoltato Matteo 21,28-32: “Un uomo aveva due figli; rivoltosi al primo disse: «Figlio, va’ oggi a lavorare nella vigna». Ed egli rispose: «Sì, signore»; ma non andò. Rivoltosi al secondo, gli disse lo stesso. Ed egli rispose: «Non ne ho voglia»; ma poi, pentitosi, ci andò”».
Che cosa vuole dirci?
«Sul tema del lavoro, questa parabola ci insegna che nessuno è dispensato dall’andare a lavorare in questa vigna e quindi dal portare il suo contributo. Il messaggio è passare dalla “chiacchiera” ai fatti: il Signore ci sta invitando a diventare credibili e concreti. Il secondo figlio ha prima detto no, poi si è impegnato a lavorare: ha capito di aver sbagliato, ci dimostra ancora una volta che la conversione è possibile. È sempre meglio andare nella vigna dopo una conversione che dire di sì e poi non muovere un dito. Applicato alla realtà odierna, possiamo dire che chi si trova in cassa integrazione o in attesa di un lavoro ha il dovere di guardarsi intorno e di darsi da fare, e tutti devono preoccuparsi secondo le proprie possibilità perché nessuno sia lasciato indietro. E ancora, chi si sottrae consapevolmente al lavoro ruba ai fratelli».
Speciale a cura di Zelia Pastore