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foto di Davide Biasetti

Dio viene e si fa vicino. Senza tanti fronzoli

Santo Natale 2020

Eccellenza, che cos’è il Natale?
«Non è facile dirlo in poche parole (sorride). Il Natale è il momento in cui Dio entra nella storia degli uomini con un grande disegno di salvezza. Però questo disegno, da subito, per gli uomini si presenta problematico da capire. Perché Dio entra nella storia degli uomini per salvarli, ma dalla porta di servizio. Non entra con un uomo “fatto e finito”, ma con un bambino bisognoso di ogni genere di aiuto e intervento. Non entra in una grande reggia, ma nasce nella povertà, in una grotta che era luogo di ricovero delle bestie nelle notti particolarmente rigide dell’inverno. Un luogo senza riscaldamento, veramente adatto alle bestie, non attrezzato per gli uomini… la sua culla è una mangiatoia. Ecco, questo è il messaggio del Natale: Dio viene a farsi vicino a noi, senza tanti fronzoli».

Ma Dio viene o “è venuto”? A lei non sembra che anche nei nostri ambienti si viva tutto questo come un pio ricordo, e non come qualcosa che che ci interpella, anche fisicamente, oggi?
«Io dico che Dio è venuto e continua a venire nella nostra vita. Non solo: verrà e tornerà una seconda volta, ed è questo il valore vero dell’Avvento. Noi in questo periodo dobbiamo attendere la venuta del Signore e non farci prendere alla sprovvista. Corrisponde a quei “vegliate” che Gesù tante volte dice, come agli apostoli nel Getsemani. Quel “vegliate” non significa dormire meno o stare svegli di più, ma fare in modo di non dormire quando siamo svegli… che è un po’ una nostra specialità (ride). Quando siamo svegli possiamo avere un atteggiamento vigile, oppure un atteggiamento “imbambolato” nei confronti del reale, soprattutto di quella parte della realtà che non è immediatamente visibile: il reale soprannaturale. Per cui questo Dio viene, è venuto, ma soprattutto tornerà».

Come si fa a rimanere concentrati, a non dormire quando si è svegli? Quel pensiero alla realtà, che non si vede ma c’è, è un po’ l’ultimo della giornata…
«Innanzitutto comincerei a togliere gli “anestetici” per non dover pensare, per dimenticarci della realtà. Quello più classico è l’alcol, ma ci sono forme molto più sottili e sofisticate. Quante volte ho sentito dire: “Mi metto davanti alla televisione, così non penso e stacco la spina”. Questa è una forma di anestetico, questo è dormire! Per cui è anche possibile che noi dormiamo diverse ore al giorno… C’è anche un modo di lavorare che è anestetico: quando perdi completamente il collegamento con la realtà, perché sei immerso nel lavoro, al punto che il resto della giornata è una parentesi nella quale non ti senti all’altezza di vivere bene come nel lavoro. E invece è possibile lavorare con consapevolezza dell’universo che c’è intorno. Dunque, ci sono tanti modi di anestetizzarsi sui quali dobbiamo fare attenzione. La grande forma anti-anestetica della vita spirituale può essere la preghiera del Pellegrino russo: “Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me, peccatore” ripetuta all’infinito. Questa preghiera ci consente di vivere la nostra vita da svegli, perché ci riporta alla realtà vera delle cose: quella che rimane in eterno, perché tutto passerà, ma Cristo rimane per sempre».

C’è qualche anestetico anche nella Chiesa?
«Quando studiavo matematica, mi ero messo a lavorare al computer per la prima volta. Avevo saltato il pranzo, e alle tre del pomeriggio mi ero accorto che non ero andato a casa a mangiare. Allora telefonai a mia madre per chiederle scusa, e lei capì che era l’inizio di una lunga serie di azioni da matematico che avrebbero costellato i miei anni a venire (sorride). Questo è anestetico: perdere il collegamento con la realtà circostante dentro una cosa molto tecnica, carina, divertente, una sfida per l’intelletto. E così anche la teologia, la liturgia, la pastorale possono essere un anestetico… Anche i nostri doveri principali, svolti nel modo non corretto, diventano un anestetico».

Natale è anche tempo di riconciliazione con il Signore. A questo proposito, in questi giorni la Conferenza episcopale piemontese ha “ripristinato” la terza forma del rito della penitenza, con l’assoluzione comunitaria e generale per adulti, bambini e ragazzi. Lei che ne pensa?
«Ci siamo interrogati sulla confessione, in modo particolare sull’opportunità di concedere l’uso dell’assoluzione generale. In questa situazione, il sacerdote dà l’assoluzione a un gruppo di persone senza ascoltare la confessione personale. Se i penitenti sono tanti ed è difficile mantenere le distanze e tutte le precauzioni dovute, si può fare questa terza forma a giudizio del vescovo diocesano. La si può usare, ovviamente, laddove non ci siano altre possibilità: pensiamo alle case di riposo nelle quali non si può entrare, neanche il sacerdote, pensiamo agli ospedali o a quei reparti che sono chiusi. Ecco, in quei casi si può pensare a una forma di assoluzione generale. Ma io, come altri vescovi della Cep, dopo aver parlato con diversi sacerdoti, ho ritenuto giusto mantenere la confessione di persona. I sacerdoti si sono attrezzati per avere un luogo dove incontrare le persone, con le opportune precauzioni: in un ambiente ampio, con l’igienizzazione delle mani e l’utilizzo della mascherina. Ma è fondamentale dare alle persone, in questo momento di difficoltà, la possibilità di un incontro fisico con qualcuno che ti ascolti».

Eccellenza, come sarà il suo Natale?
«Non ho ancora fatto grandi programmi, ma immagino che rimarrò qui. Lo vedrò al momento, sono molto estemporaneo… di cose da fare ne ho tantissime, ma mi manca sempre il tempo (sorride). Seguo anche ciò che mi sento di fare al momento. A volte restare un po’ in chiesa, o leggere pezzi di Apocalisse e meditarli… Altre volte, anche avere qualche forma di svago».

Un augurio per questo Natale?
«L’augurio per questo Natale è di viverlo nella sua unicità, farne un’occasione piena. Non semplicemente una restrizione, ma un’opportunità… È un Natale diverso da tutti gli altri: cerchiamo di non perderlo».

Andrea Antonuccio

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