Il sacerdote è tornato a casa dopo un mese di ospedale
«Mi sono reso conto che la cosa era molto grave, ma ho sempre avuto la forza per dire: “Ne uscirò fuori, devo tornare nella mia comunità”». Ci accoglie con il sorriso, arzillo e “sulle sue gambe”, don Mario Cesario, parroco alla Madonna del Carmine di via Guasco ad Alessandria, che alla fine del 2020 è stato ricoverato in terapia intensiva dopo aver contratto il Covid-19. Ora, in sacrestia, don Mario ci racconta quel mese di degenza in ospedale: un’esperienza che lo ha segnato nel profondo, cambiando il suo sguardo sulla vita di tutti i giorni e sulla fede.
Don Mario, ci racconti la tua esperienza con il Covid?
«Mi hanno ricoverato prima delle festività natalizie e ho trascorso il mio Natale in ospedale. Il regalo me l’ha fatto un’infermiera che la notte Santa mi ha portato un panettoncino: lo abbiamo diviso e mangiato insieme, un gesto semplice e di cuore che mi ha commosso molto. Questo è stato un Natale indubbiamente diverso da quelli a cui ero abituato».
Quanto è durato il tuo ricovero?
«Sono stato dimesso dopo un mese di degenza in ospedale. Un giorno al mattino mi hanno fatto il tampone, alle 15 è arrivata un’infermiera gioiosa: “Di’, don Mario, sei negativo!”. Hanno preso tutte le mie cose e mi hanno trasferito dalla terapia intensiva alla semi-intensiva. Sono stato ancora una settimana e poi sono uscito. Mia nipote, che è anestesista, mi ha accolto a casa sua, aiutandomi a rimettermi in piedi. In questi giorni sto ringraziando tutti, in tantissimi hanno pregato per la mia guarigione».
Com’è cambiata la tua fede?
«La mia fede è diventata più viva, senza dubbio. Nella vita ho sempre chiesto al Signore di riguardare la mia salute, ma prima ancora chiedevo di accettare ogni situazione che mi capitava davanti. Mi sono accorto, però, che prima lo chiedevo in modo meccanico mentre oggi, dopo questa esperienza, lo chiedo di cuore e con tutto me stesso. Sono davvero grato al Signore di questa guarigione».
Hai avuto paura di morire?
«Assolutamente no. Mi rendevo conto della situazione, ma non ho mai avuto paura. Molti mi dicono che ragiono in questo modo perché sono sempre stato a contatto con tanti malati in fin di vita. Ma anche l’esperienza che ho avuto nel mondo della malattia mentale forse mi fa vedere le cose in un determinato modo. Paura non ne ho avuta, mi sono affidato completamente al Signore, dicendo: “Sarà quel che sarà…”».
Fisicamente cosa ti ha fatto soffrire di più?
«Tutte le mattine venivano a prelevarmi il sangue dalle arterie, per vedere l’ossigenazione. Mi mettevo lì e aspettavo il prelievo. Mi dava noia, ma dicevo sorridendo all’infermiera: “Lascia perdere il braccio destro, si è stufato, vai nell’altro” (sorride). Più di tutto mi pesava il casco dell’ossigeno: mi capitava spesso di togliermelo durante la notte, senza neanche rendermene conto. A volte all’interno del casco sentivo anche dei rumori strani e delle voci, ma non erano reali. Ho fatto 15-20 giorni così, lo toglievo solo per mangiare: non è stato facile… Posso dire di aver trovato un personale infermieristico e medico disponibile, buono e preparato. Persone che davvero ti stanno accanto e ti ascoltano».
Hai anche accompagnato due persone al Signore.
«Sì, due persone ricoverate con me se ne sono andate. La più giovane, di 70 anni, si è resa subito conto della situazione, parlava poco. L’altra, invece, aveva 93 anni e abbiamo trascorso insieme gli ultimi momenti. Li ho accompagnati entrambi attraverso la preghiera e poi con la benedizione particolare “in articulo mortis”, anche se non avevo gli oli santi con me. Ho continuato a fare il mio lavoro, anche se chiamarlo così è sbagliato, perché è una missione. Anche in ospedale mi sono sentito una persona valida e utile».
Hai pregato tuo fratello?
«Sì, molto, tutti i giorni… Gli dicevo: “Agostino, dammi una mano“. Tutti i giorni, tutti i giorni… Ma pregavo anche i miei compagni del seminario che se ne sono andati. Quando dicevo il Rosario, l’ultimo Mistero lo dedicavo sempre ai miei confratelli di sacerdozio che sono tornati al Signore. Senti, vorrei concludere con una battuta…».
Dai!
«Racconto a tutti che sono andato da San Pietro e ho bussato. Lui mi ha aperto e ha chiesto alla Madonna del Carmine cosa fare con me. Ma, evidentemente, Lei ha detto: “Non è questo il suo momento, fai lavorare don Mario ancora per un po’!” (sorride). E così sono ancora qui, in mezzo alla mia gente».
Andrea Antonuccio