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In attacco o in difesa: Viva l’Italia!

“La testa e la pancia” di Silvio Bolloli

Questo è l’ultimo numero del nostro settimanale prima di conoscere l’esito finale della competizione europea per nazionali di calcio e io sto pensando, giusto per distrarmi un po’, a quale straordinaria annata questa potrebbe essere per gli interisti alessandrini, gente non propriamente avvezza ai trofei a ogni stagione (spero che nessuno si senta offeso, il mio è un semplice ragionamento statistico) che quest’anno potrebbe festeggiare un incredibile triplete, ritengo superiore a quello del 2010 griffato Josè Mourinho: storica promozione in Serie B dell’Alessandria (dopo quarantasei anni), successo nerazzurro in campionato (a undici anni di distanza dall’ultimo) e possibile trionfo continentale dell’Italia (addirittura dopo cinquantatré).

Quest’ultima tesserina del mosaico – e che tesserina! – dovrà però trovare la giusta collocazione non prima di domenica 11 luglio per cui vorrei ancora soffermarmi sull’impresa dell’Italia contro la Spagna di Luis Enrique. Fermo restando che, e non mi vergogno ad affermarlo, c’è stato un momento (tra il primo ed il secondo tempo supplementare) in cui mi sono sentito quasi neutrale dopo che il telecronista di Rai 1 ha ricordato la tragedia dell’allenatore della Spagna per la morte prematura dalla terzogenita di soli nove anni (definita il più grande dolore che un uomo possa provare).

Alla fine il patriottismo ha preso il sopravvento e ho festeggiato una vittoria in cui si è visto il meglio dell’Italia di ieri e di oggi. Già perché, se l’incipit della partita aveva dato sfoggio della straordinaria mentalità che Roberto Mancini è riuscito a imporre agli Azzurri dopo i fallimenti delle precedenti gestioni (non appaia irriverente o eccessivamente duro il mio commento ma corrisponde alla mia personale opinione al riguardo), con verticalizzazioni, gioco proiettato all’offensiva ma anche attenzione in copertura, l’improvviso ritorno della Spagna dopo il pareggio di Álvaro Morata, con conseguente enorme sofferenza di un’Italia a quel punto anche un po’ stanca, ci ha fatto assistere ad un altro film: quello della forza e della tenacia del blocco azzurro in fase di copertura e delle sue ineguagliabili capacità difensive (ritengo al mondo, anche per tradizione) che, alcuni anni fa, fecero scrivere ad un noto giornalista sportivo che “nessuno sa soffrire come noi“.

E allora, lo voglio dire una volta in più, pensando alle storiche dispute tra Sacchiani e Trapattoniani mi limito a concludere che nessuno dovrebbe avere l’arroganza di ritenersi portatore del verbo supremo ma che il calcio è bello in ogni sua sfaccettatura quando è finalizzato a esprimere il meglio degli uomini e a ottenere il massimo risultato.

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