Nel maggio 2011 il governo portoghese chiese all’Europa un programma di aiuto da 78 miliardi di euro: era un paese ad un passo dal fallimento. Il deficit pubblico superava l’11%, e il debito era in continuo aumento. Dopo sei anni di austerità e di sacrifici per la popolazione, il paese si rimette in sesto e nel 2017 il Pil cresce del 2,7%, l’avanzo primario è il secondo in Europa e il tasso di disoccupazione scende al 8,9%, sotto la media europea (9,1%). E pensare che nel 2011 la Troika aveva imposto massicci sacrifici: aumento, per legge, dell’ orario di lavoro a 40 ore; taglio di cinque festività; riduzione dei salari pubblici e delle pensioni. Il governo di Pedro Passos Coelho ha affrontato questo periodo riducendo pesantemente la spesa pubblica, il disavanzo e aumentando le tasse. La ripresa è stata veloce e ha permesso al governo di ripristinare l’orario di lavoro a 35 ore, la festa della rivoluzione e di aumentare i salari pubblici. L’economia del Portogallo, in questi anni è stata trainata dal settore turistico, dalle esportazioni e dalle importazioni di beni e servizi e dall’aumento dei consumi privati. L’export, settore trainante, registra un aumento del 11,2% per il 2017, con un incremento del commercio sia con Paesi dell’ Unione Europa che extra Ue (soprattutto Stati Uniti, Angola, Brasile); anche le importazioni crescono(+10,9%) e i partner principali, oltre all’Ue, sono Cina, Russia e Brasile; gli investimenti sono aumentati (+9,1% nel 2017) e l’inflazione ha fatto segnare un’ accelerazione pari all’ 1,6%. Il dato più rilevante riguarda il debito pubblico che, superando le aspettative, è sceso al 126,2% in rapporto al Pil. Ovviamente, non è tutto oro quello che luccica: gli investimenti pubblici sono diminuiti, i consumi interni salgono moderatamente e il sistema bancario rileva diversi problemi.
Davide Soro