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Quella fatale dimenticanza

Il punto di vista

Che cosa ci insegna la tragica vicenda di Catania?

Nei giorni scorsi si è parlato e scritto sull’incredibile fatto accaduto a Catania dove un bimbo di circa due anni è morto chiuso nell’automobile parcheggiata al sole, dimenticato dal suo papà, ricercatore presso l’Università di Ingegneria. Avrebbe dovuto essere portato al nido, invece per un grave vuoto di memoria quel papà, chiusa l’auto nel parcheggio, si era diretto verso l’ufficio dove lavorava. Tanti sono i commenti suscitati da questo fatto. Com’è possibile dimenticarsi di un figlio che sta con te in auto, magari mentre dorme pacifico sul seggiolino ben legato, incurante dei rumori cittadini, oppure mentre sorride beato alla vista del mondo che lo circonda e a modo suo commenta con piccole parole e gesti significativi?

Questi e altri pensieri per le persone che sbigottite apprendono la notizia. Un bimbo è perso per la fatale dimenticanza di suo padre… Questo comportamento è definito, in termini medici, “amnesia dissociativa”. Io penso alla disperazione di quell’uomo quando è avvertito dalla moglie che non trova il figlio a casa a mezzogiorno. Improvvisamente si rende conto di ciò che ha fatto e insieme con lei, con l’angoscia che dilania il cervello e il cuore, corre come non ha mai fatto in vita sua. Forse c’è ancora speranza che sia vivo il piccolino, il figlio tanto amato, ma è assurdo pensarlo dopo il lungo tempo passato nell’infernale calura di quelle lamiere. A Catania, giovedì 19, è ancora piena estate, si vive nella normalità quotidiana, rispettando i consueti impegni, la divisione dei compiti affidati a entrambi i genitori, ma la meravigliosa giornata settembrina si trasforma all’improvviso in una notte oscura! Tu credi di realizzare al meglio ciò che sei, come marito, padre e lavoratore; ti preoccupi che tutto proceda bene o almeno discretamente e poi arriva il terribile imprevisto che sconvolge tutto, cambia inesorabilmente la tua vita. I rimorsi e i sensi di colpa diventano frecce avvelenate…

Non solo il tuo dolore ti stringe come un cappio al collo che non ti fa respirare, ma devi affrontare anche quello di tua moglie che versa fiumi di lacrime unite alle tue e poi il dolore di tutta la famiglia, compreso i cari nonni se ci sono. La pace è distrutta! Come si può sopravvivere a un simile strazio? La domanda è inevitabile. Si dice che il tempo sia il miglior medico, passa e sorprendentemente ti ritrovi in quella vita che avresti voluto finisse insieme a quell’altra tanto amata e perduta per sempre… Io credo che, in questi casi, ci sia bisogno di un aiuto eccezionale. Si può avere una vita diversa seguendo le orme di Gesù Cristo, Uomo come noi, che ha sofferto più di noi, ma sempre ha creduto nel Padre e ha messo la sua vita in quelle mani benedette.

Adriana Verardi Signorelli

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