“Alessandria racconta” di Mauro Remotti
Il 5 giugno 1835, il giorno successivo alla Pentecoste ebraica, una tragedia sconvolse l’intera cittadinanza alessandrina. Nel ghetto – compreso tra le attuali vie Migliara, dei Martiri, Vochieri e Milano (all’epoca detta Contrada degli Ebrei) – si stava svolgendo, secondo le tipiche usanze giudaiche, una festa nuziale fra due giovani: Isachia (o Isac) Vitale e Amelia (o Amalia) Vitale, cucitrice per conto dell’esercito sabaudo.
Purtroppo il pavimento dell’abitazione, posta al secondo piano di una casa in via Milano, non riuscì a sostenere il peso dei numerosi invitati, tra i quali parecchi di religione cattolica che avevano disatteso il divieto a evitare ogni forma di promiscuità fra ebrei e cristiani. Il soffitto sprofondò rovinosamente travolgendo coloro che alloggiavano ai piani inferiori.
Si calcolarono in tutto 46 morti (29 ebrei e 17 cristiani) e 57 feriti (35 giudei e 22 cattolici). Nel libro “Gli ebrei di Alessandria: una storia di 500 anni” lo studioso Aldo Perosino riporta con precisione i nomi delle vittime e dei feriti: «Morì lo sposo e il rabbino Matassia Levi Deveali con la moglie Stella Ottolenghi ed il vice rabbino Raffaele Benedetto Amar.
Tra i morti anche 5 fanciulli, tra cui i fratellini Zecut e Raffaele Levi rispettivamente di 8 e 7 anni, e Osea Vitale di poco più di un mese. Tra gli ebrei i feriti più gravi furono la sposa che si salvò e visse in seguito per moltissimi anni, ed il figlio del rabbino, rabbino anch’egli, di nome Elia. Tra i cristiani grave fu la perdita del colonnello del Reggimento «Aosta» di stanza in città, cav. Efisio D’Angioi, con i due capitani Mossa e barone di S. Alberto, il ten. Vaccarone e due musicanti dello stesso reggimento. Fra i feriti il maggiore Astesano del “Piemonte Reale” e i due cappellani militari don Paolino e don Botto».
Su ordine del re Carlo Alberto, il governatore Giuseppe Maria Gabriele Galateri di Genola, noto per la sua durezza, licenziò i due cappellani, salvo poi riammetterne uno che nel frattempo era riuscito a dimostrare di essere intervenuto alla festa soltanto in ossequio a un ordine militare superiore.
La disgrazia fece comunque scattare una gara di solidarietà per soccorrere i sepolti e rimuovere le macerie; l’ospedale cittadino curò i feriti gratuitamente senza compiere distinzioni tra credi religiosi. D’altronde, tra la comunità ebraica, che nei primi anni dell’Ottocento contava in Alessandria oltre cinquecento individui, e quella cattolica intercorrevano da qualche tempo rapporti amichevoli e di rispetto reciproco.
Soltanto tredici anni più tardi – prima con la promulgazione dello Statuto Albertino e poi attraverso la Legge Sineo – si sarebbe provveduto alla piena emancipazione civile degli ebrei nel Regno di Sardegna.