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Una impercettibile smorfia

Tra le pagine dei libri

Una ragazza scomparsa e cinque amici che decidono di cercarla, intraprendendo un viaggio verso il Marocco che li porterà a scoprire la verità. Un thriller che mescola, come su una tela, diverse dimensioni: l’amicizia, i profumi e i colori di un viaggio e un mistero da risolvere. E il paragone tra letteratura e pittura non è un caso, perché l’autore del libro, Giuseppe Mencacci (di professione quality engineer in una multinazionale, al suo debutto da scrittore) è anche un pittore per passione. Sua è anche la copertina del libro, la “città blu” di Chefchaouen, in Marocco, che fa da sfondo al mistero. Lo abbiamo incontrato per farci raccontare come queste dimensioni abbiano preso vita e si intersechino all’interno del suo romanzo d’esordio, “Una impercettibile smorfia”.

Giuseppe, di cosa parla questo libro?

«Nasce come una storia di amicizia, ma racconta anche un viaggio ed è un thriller, secondo una trama complessa che è stata pensata per più palati, per essere fruibile da un pubblico molto ampio. L’amicizia è quella che lega cinque uomini milanesi tra i 30 e i 40 anni, amici di infanzia, ciascuno con la propria dimensione di vita individuale che si interseca con quella degli altri nel “rituale” dell’uscita del weekend. L’altra dimensione è il viaggio: la trama si sviluppa a Milano per circa il 25% tempo e poi nel viaggio dalla Spagna fino a Chefchaouen, la città blu del Marocco in cui è scomparsa la ragazza. Questo ci porta alla terza base del romanzo: il thriller. I cinque amici dovranno infatti scoprire cosa sia successo alla ragazza scomparsa, in un ritmo narrativo che tiene incollato il lettore fino all’ultima pagina».

Luoghi e personaggi: da dove hai tratto l’ispirazione?

«Questo romanzo contiene tante descrizioni di luoghi, cibi e colori molto nitide e precise perché sono viaggi che ho fatto realmente. Ho trasportato nel racconto la mia esperienza diretta sia dei luoghi sia delle amicizie».

Si tratta del tuo debutto come scrittore o avevi già fatto delle “prove”?

«È il mio debutto assoluto. La mia unica esperienza di scrittura era avvenuta durante il servizio militare, quando i miei commilitoni mi chiedevano di scrivere le lettere alle loro fidanzate. Una sorta di moderno Cyrano (ride)».

Ci sono autori o stili a cui ti ispiri in particolare?

«Io mi ritengo “onnivoro” sulla letteratura perché amo molto leggere. Il mio appuntamento fisso al sabato mattina è andare in biblioteca e prendere libri di vario genere, dai saggi ai racconti».

Se dovessi paragonarla alla pittura, come è stata per te questa esperienza di scrittura? Il foglio bianco è stato più o meno difficile da riempire rispetto alla tela bianca?

«Posso dire di essere partito senza sapere cosa scrivere, come quando dipingo su una tela bianca. Avevo con me un’agendina tascabile e avevo abbozzato solo l’incipit, buttavo giù qualche riga ovunque mi trovassi, come quando dipingo delle macchie di colore sulla tela e provo poi ad unirle, senza sapere dove arriverò».

Anche la decisione della pubblicazione sembra l’incipit di un romanzo…

«Sì, perché di questo libro non avevo parlato quasi a nessuno, solo ai miei stretti familiari. Ho dato la prima copia, in una busta chiusa, proprio a mio figlio prima che salisse su un aereo diretto in Sicilia, chiedendogli di aprirla solo una volta a bordo. Quando è atterrato, mi ha chiamato entusiasta perché era già stato conquistato dalle prime pagine».

Dove immagineresti i tuoi lettori a leggere questo libro?

«Questo è un thriller ma anche un libro godibile, con momenti di ironia, divertimento, suspense. È pensato per poter essere letto in un momento di relax, pertanto il mio lettore lo vedrei idealmente sul sofà, nel weekend».

Francesca Frassanito

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