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Il popolo nelle tenebre vide una grande luce

Domenica a Castellazzo alle 16 il Vescovo presenta la nuova Lettera pastorale

Eccellenza, proviamo a entrare nella sua nuova Lettera pastorale, “Il popolo nelle tenebre vide una grande luce”, che presenterà domenica 10 alle ore 16 al Santuario della Beata Vergine della Creta di Castellazzo. Ma siamo noi il popolo delle tenebre?

«Certo che siamo noi! Prima di partire per la Gmg, la Giornata mondiale della Gioventù, ho avuto a che fare con tutta una serie di visioni sconfortanti della realtà: tante fatiche e difficoltà, nella nostra Chiesa locale e in quella universale. Vedevo nella gente un clima pesante…».

Un popolo nelle tenebre, appunto.

«Sì, un popolo che cerca una via di uscita a una situazione difficile. Le stesse unità pastorali, in alcuni casi, vengono viste come l’ennesima e definitiva chiusura, o riduzione, di qualcosa che prima c’era e adesso non c’è più. Insomma, un modo di “arrangiare” quello che rimane… sono molti, purtroppo, quelli che la pensano così».

Il suo morale era sotto i tacchi, immagino.

«No, anzi! Io intravedevo già una luce per la Chiesa, però facevo e faccio fatica a comunicarla. Io che sono evangelizzatore, il messaggero che deve portare l’Annuncio… ecco, mi trovo in difficoltà perché sento che questa visione diversa non fa presa. A volte mi chiedo se sono io a essere un illuso, se per caso sto andando dietro a delle cose che non esistono… Sono troppo ottimista, oppure qualcosa c’è, una luce c’è?».

La risposta?

«Vado a Lisbona per la Gmg e la vedo con i miei occhi, questa luce! La realtà di quei giovani che non sono arrivati lì con un copione che hanno studiato in pullman per comportarsi bene! Vedo un milione e mezzo di giovani nella gioia, alla presenza del Papa. Non di Francesco, ma del Papa, il successore di Pietro. L’ho scritto questo, nella Lettera pastorale. E mi ha commosso anche vedere il Vescovo di Niigata, in Giappone, che con 4.500 cattolici in Diocesi è venuto alla Gmg con un gruppo di 200 giovani. Dal Giappone! Commoventi, commoventi…».

Lei ha anche scritto: «Torniamo a casa [dalla Gmg] ed eccoci nella nostra solita Chiesa…».

«A casa è tutto più difficile, anzi, “tenebroso”, perché siamo in un momento di svolta. La Chiesa in cui siamo nati e cresciuti non c’è più. Ma questa crisi serve per riscoprire in modo vivo e bello qualcosa di più grande, non per soccombere. Questa malattia non è per la morte, ma perché si manifesti la gloria di Dio».

Nel secondo capitolo della Lettera (“Fedeltà in mezzo all’idolatria”) lei affronta il tema dell’idolo. Perché?

«L’idolo non è soltanto il benessere, i soldi, il successo, ma anche tutto ciò che mi ferma prima dell’incontro vero col Dio vero. E questo incontro dove accade? Nella Chiesa».

Tra gli idoli, cita anche un certo modo di intendere la teologia e una “manipolazione” della Parola di Dio. Ma è possibile non manipolare?

«Non manipolare in modo assoluto non è possibile. San Tommaso dice: “Quidquid recipitur ad modum recipientis recipitur” (“Ciò che si riceve prende la forma del recipiente”). Tuttavia, è possibile ridurre di molto la manipolazione… Come? Ricordiamoci che l’incontro con la Parola di Dio avviene dentro la Chiesa, e noi dobbiamo incontrare la Chiesa viva, che è quella che si manifesta attraverso il dono dello Spirito Santo. Citando papa Francesco, “senza lo Spirito la Chiesa è inerte, la fede è solo una dottrina, la morale solo un dovere, la pastorale solo un lavoro”. È lo Spirito che vivifica la Chiesa! E nella Gmg l’ho visto in azione, ho visto qualcosa che da soli noi non riusciremo mai a riprodurre».

Nella Lettera lei contrappone la logica umana (che può diventare un idolo) alla logica di Gesù, che secondo i nostri ragionamenti è assurda. Come si fa allora a seguire il Signore e a non sentirsi “assurdi”?

«È sicuramente faticoso. A un certo punto c’è un momento in cui devi scegliere: abbraccio questa logica, o faccio una cosa che mi sembra più sensata? Cosa avrà pensato Pietro? “Prendo il largo e butto le reti per la pesca, come dice il Maestro? Oppure mi rendo conto che di giorno non si pesca nel lago di Tiberiade, e se lo faccio gli altri pescatori mi prendono per scemo?”. Ecco, noi come l’apostolo Pietro possiamo scegliere tra Dio e la nostra logica umana, apparentemente più sensata».

E come facciamo a capire qual è la logica di Dio? C’è un criterio, una guida per sapere dov’è Dio?

«Ciascuno deve mettere a punto questo criterio personalmente, per imparare a “sentire” il sapore di Dio nel corso della propria esistenza».

Ma abbiamo anche bisogno di qualcuno che ce lo faccia notare…

«Certo, ma questo non toglie la scelta personale. Il cristianesimo è aver incontrato una persona, Gesù Cristo, e seguirla. Dobbiamo essere noi a decidere se farlo oppure no».

Gli apostoli, i primi che lo hanno seguito, con tutte le loro fragilità hanno fatto un cammino fisico, concreto, con Gesù. E noi, oggi, come possiamo fare la loro stessa strada? Per favore, non mi dica «nella Chiesa»…

«Nella Chiesa (sorride) Nella Chiesa con la “C” maiuscola! Concretamente significa un insieme di persone perseveranti nell’insegnamento degli apostoli, che insieme fanno un cammino di formazione, vivono, condividono, parlano; insieme partecipano alla Messa, insieme pregano. Sono le “quattro perseveranze”, le quattro coordinate della vita comunitaria che cito spesso, e di cui ha parlato anche il Santo Padre quando siamo andati da lui in udienza come Diocesi, nel settembre del 2022».

E con questo siamo nel cuore del terzo capitolo della Lettera. Saltiamo il quarto (per non svelare tutto) e arriviamo al quinto: “Unità pastorali”, con cui lei chiude questo percorso “dalle tenebre alla luce”.

«Le unità pastorali sono i luoghi dove questo percorso avviene, deve avvenire, dove deve realizzarsi la comunità cristiana. Certo, è un cammino lungo: girando per le unità pastorali vedo una vitalità che già c’è. Il problema è che è difficile incontrare un luogo vivo dove trovare la vita cristiana. Sono ancora pochi questi “focolari”, dentro la Diocesi…».

Come può stimolarli, questi focolari?

«Pregando. La mia posizione è pregare perché le persone, lì dove sono, riescano a trovare la strada suggerita dallo Spirito, che a ciascuno dà un’indicazione diversa. Già negli incontri sinodali fatti è emerso con molta chiarezza che bisogna cominciare ad affrontare i problemi uno alla volta, avendo chiaro che se non riusciamo a tenere insieme le quattro coordinate della vita comunitaria non otterremo risultati. Se le teniamo insieme, potremmo averli».

Potremmo?

«Dobbiamo implorare il Signore: “Signore, noi ci teniamo a vedere lo Spirito”. Questa è la grande rivoluzione di papa Francesco: non una rivoluzione teologica, ma extra-teologica. Il Santo Padre vede una Chiesa che ha come primo volto quello di un gruppo di persone che vivono animate dallo Spirito. Una comunità cristiana basata su coordinate esistenziali, vive, vitali: non su regole teologiche, non su strutture, ma sulla vita di persone insieme. E questo, purtroppo, facciamo ancora molta fatica a capirlo».

Vuole dirci ancora qualcosa?

«Il Signore ci sta guardando, ci sta amando, come ha detto il Papa alla Gmg, e noi siamo chiamati ad assecondarlo. A partecipare a questo lavoro».

Andrea Antonuccio

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