Intervista alla direttrice dell’evento Simonetta Cerrini
Oltre a loro, protagonisti gli storici Michel Balard, Philippe Josserand, Julien Théry, e gli artisti Massimo Bagliani, Emanuele Dabbono ed Elisabetta Gagliardi. Presente anche il nostro sindaco, Gianfranco Cuttica di Revigliasco, che con fra Luca Pier Giorgio Isella e Giulia Quarantini, ha fatto luce sui Templari ad Alessandria e in Piemonte. Anche gli storici Alessandro Barbero e Franco Cardini, con alcune video-interviste, hanno portato il loro contributo. Abbiamo chiesto a Simonetta Cerrini (in foto, con Alloisio) di farci il punto su questa prima edizione, appena conclusa.
Cerrini, come è nato questo evento?
«È nato da me e da Gian Piero Alloisio, mio marito. L’idea era quella di creare un festival che fosse una novità assoluta, con la sfida di riunire, su unico palco, storici e artisti. Il nostro primo obiettivo comune era far conoscere a un largo pubblico la vera storia dei Templari, dimostrando che è affascinante come e più del loro mito. Un proposito molto ambizioso, ma che ci sembra riuscito. E a dircelo è stato il pubblico, che ha seguito con grande partecipazione e interesse tutti i sette appuntamenti: quattro serate e tre eventi pomeridiani. Ma anche gli stessi storici e artisti, che hanno comunicato fra loro scoprendo, nel rispetto reciproco, le differenti esigenze professionali».
In che modo avete unito storia e musica?
«Le serate erano una specie di talk, con la regia di Gian Piero. Io gli ho fornito gli ingredienti storici, ovvero il tema generale di ogni serata, le letture delle cronache o di testi medievali, e gli argomenti delle relazioni degli storici. E Gian Piero li ha ordinati in una scaletta, aggiungendo brani del suo spettacolo “I Templari ultimo atto” e canzoni pop, per creare un ponte emotivo tra quei tempi e oggi».
Chi erano i Templari? E qual era il loro rapporto con la Chiesa?
«I Templari furono un ordine religioso della Chiesa cattolica, che nacque a Gerusalemme nel 1120. All’inizio dipendevano dal patriarca latino di Gerusalemme. Il re Baldovino II concesse loro l’utilizzo di una sua residenza, chiamata “Templum Salomonis”, in cui sorgeva la moschea al-Aqsa. E proprio dal tempio presero il nome di Templari, “poveri compagni di battaglia di Cristo e del Tempio di Salomone”. La loro prima funzione fu quella di proteggere i pellegrini che arrivavano in Terrasanta, che rischiavano di essere assaliti da briganti o da animali feroci, e in seguito combatterono nelle armate del regno di Gerusalemme. Nel 1129 si svolse a Troyes un Concilio provinciale, in cui avvenne l’approvazione Pontificia e i Templari ricevettero una Regola. Mentre nel 1139 il papa divenne il loro unico superiore. I frati cavalieri vennero autorizzati a colpire il nemico “senza colpa”. Ma chi era il nemico? Il nemico era quello pubblico, individuato anche dal “bellum iustum” di Sant’Agostino. Nella Regola francese invece il nemico pubblico viene tradotto con “nemico della Croce”. Non agirono quindi mai, come una certa parte dell’opinione pubblica crede, contro l’islam in sé. Ma combatterono per difendere gli stati latini d’Oriente contro chiunque li attaccasse. I Templari diedero anche un apporto rivoluzionario alla Chiesa…».
Ovvero?
«Pur restando laici, crearono quest’ordine religioso dandogli una sua autonomia spirituale, proprio nel momento in cui nacque la Chiesa come istituzione anche giuridica e in cui i fedeli furono divisi tra clero e laicato. Mi permetto di dire che la via rivoluzionaria percorsa dai Templari è una posizione vicina anche a papa Francesco, che tende a valorizzare molto la figura del credente, indipendentemente dal fatto che sia consacrato o laico. In quanto laici religiosi, i Templari volgarizzarono diversi testi religiosi e devozionali, si aprirono anche alle donne, e seppero stabilire contatti significativi con i cristiani d’Oriente e con i musulmani. Tutti esempi che dovrebbero guidarci ancora oggi».
Quale legame c’è tra Alessandria e i Templari?
«I Templari si sono diffusi ovunque in Europa. Anche ad Alessandria nel quartiere Bergoglio avevano una domus. Da diverse fonti abbiamo scoperto sette templari che sono citati nei documenti come “de Alexandria”. In particolare troviamo riferimenti nel libro di Elena Bellomo, che ripercorre gli insediamenti dei Templari dell’Italia del nord-ovest. Le carte ci hanno regalato il nome questi sette alessandrini, ma saranno sicuramente stati molti di più».
Ci racconta un momento particolare del Festival?
«Tra gli ospiti c’era anche il frate cappuccino Luca Pier Giorgio Isella, che ha portato un cucchiaio templare trovato alla Bastita del Monte dei Cappuccini, a Torino, durante dei restauri. Questo è stato uno dei momenti più piacevoli e interessanti, perché il cucchiaio ci ha permesso di raccontare il loro rapporto con il cibo. Ricordo in particolare un articolo dei loro Statuti che ingiunge ai frati Templari, dopo che si sono serviti di carne o di formaggio, di lasciare sul piatto una bella porzione di cibo ben tagliata perché il povero che la prenderà non si senta umiliato accettando dei resti di cibo tagliati male e disordinati. E proprio il cucchiaio è uno degli otto oggetti templari protagonisti del mio ultimo libro “Storia dei Templari in otto oggetti” (Utet), scritto con lo storico Franco Cardini».
È in programma una seconda edizione?
«Il sindaco ce l’ha chiesta già sul palco. Ci lavoreremo, senza alcun dubbio. A me sembra, da tutte le mail e le richieste di approfondimento, che ci sia stato un grande entusiasmo. È possibile rivedere le conferenze pomeridiane sulla pagina Facebook “Festival Internazionale dei Templari”. Un grazie speciale va a chi ha permesso di realizzare questo evento: tutto il quartiere ha partecipato attivamente. Questo ci ha permesso di vivere l’evento con un profondo senso di comunità».
Alessandro Venticinque
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