Verso le Unità pastorali: il Vescovo incontra le comunità
Eccellenza, a breve lei incontrerà le parrocchie della Diocesi che si sono riunite, su sua indicazione, per discutere del nuovo Sinodo diocesano e, in particolare, delle Unità pastorali che da questo cammino nasceranno. C’è un punto che in questo momento le sembra importante sottolineare?
«Sì, certamente. La questione delle parrocchie “ricche” e delle parrocchie “povere”».
Ci può spiegare di che si tratta?
«Abbiamo un problema, perché tra le parrocchie della nostra Diocesi che costituiranno le diverse Unità pastorali ci sono realtà che hanno molte attività in piedi, una pastorale avviata e strutturata; e altre che non hanno quasi nulla. Questa configurazione, tipica della vita dell’uomo, è quella che io sintetizzo con la formula “ricchi e poveri”. Succede in ambito economico, succede in ambito pastorale, così come in tantissimi altri ambiti. Ed è la fonte dei “raffronti” con gli altri, e dei nostri complessi più dolorosi. Il raffronto con gli altri ci fa reagire in maniere che non sono assolutamente razionali, e questo purtroppo accade anche a livello ecclesiale. Per questo vorrei che provassimo a concentrarci su questo tema, ciascuno nella propria comunità parrocchiale, per mettere in luce le cose che non vanno. Innanzitutto, le parrocchie “ricche”, avendo faticato per arrivare al posto in cui stanno, hanno paura di perdere ciò che hanno».
I “ricchi” non hanno tutti i torti…
«Certo, perché non si diventa ricchi per un mandato divino, ma è frutto di una fatica, di un lavoro e di una collaborazione alla grazia. La paura di perdere ciò che si è ottenuto è comprensibile. Lo vediamo nel racconto della parabola della moltiplicazione dei pani e dei pesci. C’è un ragazzo che ha portato con sé cinque pani e due pesci, è stato l’unico che si è comportato da persona previdente: ha saputo leggere la realtà e si è preparato. Gli altri, invece, non hanno niente. Qual è allora la soluzione prospettata da Gesù? Che lui condivida i pani e i pesci con tutti. Un apostolo, constatato che hanno 200 denari in cassa, si chiede quanto siano 200 denari di pane per tutta quella moltitudine, figuriamoci cinque soli pani… Capite bene che, dal punto di vista umano, quel ragazzo avrebbe potuto portare ogni genere di obiezione con molta sensatezza. Perché se dividi cinque pani e due pesci con cinquemila persone, la quantità di cibo per ognuno è scarsissima: il risultato atteso è che rimarranno tutti senza mangiare. Questa è l’analisi umana, però poi accade l’imponderabile, che è ciò a cui Gesù ci ha abituato. L’imponderabile è che il pane e il pesce, divisi, vengono moltiplicati: tutti mangiano, e ne avanza ancora. Questo è il Vangelo: provocante, graffiante, ma strabiliante. Possiamo decidere di crederci o meno, ma ricordiamoci che Gesù ha detto: “Guai a voi, ricchi”. Perciò, dobbiamo cercare di fare in modo di condividere i beni che abbiamo, anche di fronte alla ragionevole, umana, paura di perderli. È richiesto un atto di fede».
E le parrocchie “povere”?
«Le parrocchie povere si trovano in difficoltà perché non hanno nulla. Viene da dire: “Ho paura di non essere all’altezza. Ho paura di non essere capace, di non farcela, di non avere i numeri, di dover affrontare qualcosa di nuovo. Ho paura di dovermi confrontare con gente che lavora e sa quello che fa, io non ne so nulla”. Ricordiamoci che Gesù ha detto: “A chi ha sarà dato, e a chi non ha sarà tolto quello che ha”. E lo ha detto di quel servo a cui è stato dato poco, ma che non ha avuto il coraggio di investire quel poco e lo ha posto sotto terra, cioè si è ridotto all’inazione. Dunque, anche chi ha poco deve mettersi in gioco. Ecco, i problemi sono questi, e la paura di mettersi in gioco è il problema più grande di tutti. La soluzione, anche qui, è quella di fidarsi. Umanamente queste paure sono comprensibilissime, però il punto è che dobbiamo fidarci. Qui vediamo come il cammino sinodale delle Unità pastorali non è solo un cammino tecnico, ma è prima di tutto una grande scuola spirituale. Chi ha deve darsi da fare per condividere con chi non ha, e chi non ha deve darsi da fare per condividere anche ciò che non ha. Sono cose faticose, che chiedono uno sguardo di fede, non uno sguardo umano. Questa è veramente una grande scuola spirituale».
Qual è il suo augurio?
«Il mio augurio è che questo cammino sinodale, che stiamo facendo insieme e che ci porterà a cambiare la strutturazione della nostra pastorale, ci faccia bene più dal punto di vista spirituale che organizzativo. I benefici spirituali del nostro mettersi in gioco, collaborando insieme e lavorando come Chiesa, saranno decisamente maggiori di quanto può fare una perfetta organizzazione. Questa è la conversione pastorale: non semplicemente cambiare l’organizzazione delle cose, ma cambiare il cuore e l’atteggiamento interiore con cui le facciamo. Buon cammino a tutti!».
Andrea Antonuccio
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