Intervista al dottor Enrico Cieri, Procuratore della Repubblica di Alessandria
Dottor Cieri, lei è il Procuratore della Repubblica del tribunale di Alessandria. Ci racconta qualcosa di lei?
«Sono un vecchio abruzzese di 64 anni (sorride), padre di quattro figli e magistrato dal 1986. Sono stato giudice a Nuoro e poi sostituto procuratore a Modena e Bologna, dove ho lavorato nell’antimafia e nell’antiterrorismo».
Ci spiega di che cosa si occupa un Procuratore della Repubblica?
«Il Procuratore della Repubblica dirige l’ufficio di Procura, o del pubblico ministero, e si occupa delle indagini sui reati che gli sono comunicati dalle forze di polizia e dai cittadini. La Procura promuove i processi penali, rappresenta l’accusa nel giudizio e promuove l’esecuzione delle pene stabilite dai giudici. È un ufficio molto dinamico, con stretti rapporti con la polizia giudiziaria, e svolge anche le indagini a favore degli indagati e accusati, nell’interesse della equa e imparziale applicazione della legge penale».
Veniamo all’incontro dei Martedì di Quaresima del 28 marzo, che vedrà come relatrice Margherita Cassano, nominata dal Consiglio superiore della magistratura presidente aggiunto della Corte di Cassazione. È la donna con le responsabilità più significative nel mondo della magistratura italiana: quanto è “maschile” l’amministrazione della giustizia nel nostro Paese?
«L’amministrazione della giustizia è stata molto maschile e l’ingresso delle donne in magistratura è relativamente recente, risalendo al febbraio del 1963. Attualmente le donne magistrato sono la maggioranza, circa il 55%, pari a 5.308 rispetto alla forza complessiva di 9.624 magistrati. Si dice che le attività di Procura della Repubblica siano più maschili ma ad Alessandria, per esempio, su 8 magistrati in servizio (rispetto ai 13 della pianta organica) 4 sono donne. Direi che le donne sono ormai ben rappresentate».
Il tema del prossimo incontro dei Martedì sarà “Giustizia, una malata che può guarire?”: qual è la malattia della giustizia?
«La malattia della giustizia italiana è in primo luogo la modestia assoluta delle risorse, di personale e di mezzi. Il palazzo di giustizia di Alessandria è stato oggetto di cronache recenti per la sua vetustà e lo scarso livello di manutenzione che lo rende inidoneo ad assicurare le prestazioni di lavoro del personale di magistratura, del personale amministrativo e di polizia giudiziaria. La dotazione di personale ad Alessandria è ridotta al 50% della forza organica, e Procura della Repubblica, Tribunale e servizi accessori sono tesi ad assicurare, ogni giorno, con grande fatica, il servizio delle indagini, delle udienze, delle decisioni e della esecuzione delle pene. L’amministrazione della giustizia esigerebbe però mezzi adeguati a garantire a ogni cittadino, sia egli accusato, vittima o semplice testimone o ausiliario di giustizia, un trattamento decoroso e rispettoso della servitù di giustizia che gli è imposta. Ma ci sono altri problemi che condizionano l’amministrazione della giustizia: tra questi anche il numero molto basso dei magistrati e quello molto alto degli avvocati, rispetto alla popolazione del relativo territorio».
Quarant’anni fa, alle 4 di notte del 17 giugno 1983, venne arrestato Enzo Tortora. Fu un errore giudiziario che ancora oggi “brucia” e fa riflettere. Oggi potrebbe capitare ancora una cosa del genere?
«La vergogna dell’arresto di Enzo Tortora brucia ancora, soprattutto per noi magistrati che siamo nati, come ordine giudiziario, per assicurare le garanzie e i diritti degli incolpati. Ho la certezza che una vergogna simile non si verificherà più per l’accresciuta consapevolezza professionale della magistratura italiana e anche dell’avvocatura, che ha sviluppato un ruolo più attivo nella difesa dei diritti dei cittadini. La stessa Costituzione, nel 1999, è stata adeguata per prescrivere, all’art.111, le più rigorose garanzie degli accusati, secondo i principi del giusto processo».
Se avesse una bacchetta magica, che cosa cambierebbe del sistema giudiziario italiano?
«Vorrei che i palazzi di giustizia fossero luoghi decorosi dove ogni cittadino, colpevole o innocente, venga giudicato con equità e giustizia, nella consapevolezza che le proprie ragioni siano ascoltate e valutate. Sono consapevole che giudicare il bene e il male di altri è compito altissimo, quasi inumano, e vorrei semplicemente che tutti noi, magistrati, cancellieri, avvocati, poliziotti, carabinieri e finanzieri, in ogni momento della nostra attività lavorativa fossimo all’altezza del compito terribile che ci spetta. Siamo uomini tra altri uomini: dobbiamo riuscire a riconoscere le nostre debolezze e i nostri pregiudizi per arrivare a un giudizio serio e maturo dei fatti e delle persone».
Che cosa vorrebbe chiedere a Margherita Cassano (e magari chiederà) nella serata di martedì 28 marzo?
«Di recente è circolata la notizia che la Corte di Cassazione ha richiesto all’Accademia della Crusca una consulenza sul linguaggio giudiziario. A suo tempo, i padri costituenti richiesero analoga consulenza ai letterati Pietro Pancrazi e Concetto Marchesi sul linguaggio della Costituzione. Il linguaggio è cultura, e il modo di definire i fenomeni è spesso la spia della nostra valutazione di quei fenomeni. Al Presidente Cassano mi piacerebbe chiedere che lo studio dell’Accademia della Crusca fosse distribuito a ogni singolo magistrato, nell’ambito di un processo di valorizzazione e rafforzamento della cultura giudiziaria di ogni operatore della giustizia. La cultura, non solo giuridica, è fondamentale per comprendere tutti i fenomeni sociali, tra i quali i crimini».
Dottor Cieri, nel 2012, quando lei era Sostituto procuratore a Bologna, ha ricevuto minacce dagli anarchici. Ha avuto paura?
«Ho pudore a parlare delle minacce che ho ricevuto, perché sono consapevole di minacce e attentati ben più gravi che molti di noi hanno subito, perdendo la vita nell’adempimento del dovere. Comunque non ho mai avuto paura, e se ho temuto per i miei affetti più cari, ho sopito questi timori nella consapevolezza che ognuno di noi, semplicemente, fa quel che la vita gli chiede di fare. Penso all’esempio di Giorgio Ambrosoli, e a quella meravigliosa lettera alla moglie, o alla frase di John Fitzgerald Kennedy: “Un uomo fa quello che è suo dovere fare, quali che siano le conseguenze personali, quali che siano gli ostacoli, i pericoli o le pressioni. Questa è la base di tutta la moralità umana”. Non si nasce eroi, e nessuno vorrebbe esserlo… ma ognuno di noi si comporta come deve, come la sua coscienza e la sua educazione gli impongono di fare».
Lei ha indagato anche sulla strage di Bologna del 2 agosto 1980, in cui rimasero morirono 85 persone e oltre 200 rimasero ferite. Pensa che, in questo caso, sia stata fatta giustizia?
«Sulla strage di Bologna ho qualche riserva a parlare perché due processi sono ancora in corso. Non credo si sia fatta ancora giustizia, malgrado il grande lavoro svolto anche dai cittadini di Bologna che si sono costituiti in associazione dei familiari delle vittime della strage. Non so neppure se sarà possibile fare completa chiarezza su molti fatti che, come tanti di quel periodo terribile che va dalla strage di piazza Fontana del 1969 a quella del treno di Natale del dicembre 1984, sono rimasti senza verità e certezze. I giudici hanno comunque accertato la responsabilità della strage di Bologna nei confronti di due persone, ormai libere, e quella di altre due persone per la strage di Brescia. Molte sono le ombre rimaste di quella terribile stagione, e quel che colpisce è il silenzio assordante della politica: è inverosimile che di quei fatti non sia rimasta alcuna traccia nell’attività delle nostre istituzioni, anche a voler ipotizzare una regia estera».
Ultima domanda: da cittadini, dobbiamo avere fiducia nella giustizia?
«Dobbiamo avere fiducia nella giustizia perché nessun altro sistema è altrettanto idoneo ad accertare le colpe e le innocenze. Parafrasando Churchill, la nostra giustizia è forse la peggiore, eccezion fatta per tutte le altre che si sono sperimentate finora. Dobbiamo avere fiducia nel nostro sistema di giustizia democratica e comunque lottare, tutti, perché sia sempre migliore».
Andrea Antonuccio