Il documento finale dei vescovi
Ampia, poi, la pagina amara sulla migrazione che in Amazzonia si articola su tre livelli: mobilità di gruppi indigeni in territori a circolazione tradizionale; spostamento forzato di popolazioni indigene; migrazione internazionale e rifugiati. Per tutti questi gruppi, occorre una pastorale transfrontaliera in grado di includere il diritto alla libera circolazione. Il problema della migrazione – si legge – deve essere affrontato in modo coordinato dalle Chiese di frontiera. Un lavoro di pastorale permanente va, inoltre, pensato per i migranti vittime di tratta. Il Documento sinodale invita a porre l’attenzione anche sullo spostamento forzato delle famiglie indigene nei centri urbani, sottolineando come tale fenomeno richieda una “pastorale d’insieme nelle periferie”. Di qui, l’esortazione a creare équipe missionarie che, in coordinamento con le parrocchie, si occupino di questo aspetto, offrendo liturgie inculturate e favorendo l’integrazione di tali comunità nelle città.
Sul fronte interreligioso, invece, il Documento incoraggia a una maggiore conoscenza delle religioni indigene e dei culti afro-discendenti, affinché cristiani e non, insieme, possano agire in difesa della casa comune. Il Documento richiama, inoltre, l’urgenza di una pastorale indigena che abbia il suo posto specifico nella Chiesa: è necessario creare o mantenere, infatti, “un’opzione preferenziale per le popolazioni indigene”, dando anche maggiore impulso missionario tra le vocazioni autoctone, perché l’Amazzonia deve essere evangelizzata anche dagli amazzonici. Il testo conclusivo del Sinodo si sofferma, poi, sul tema della pastorale urbana, con uno sguardo particolare alle famiglie: nelle periferie cittadine, esse patiscono la povertà, la disoccupazione, la mancanza di alloggi, oltre a numerosi problemi di salute. Diventa, quindi, necessario difendere il diritto di tutti alla città come godimento equo dei principi di sostenibilità, democrazia e giustizia sociale.
“La difesa della terra – si legge – non ha altro scopo che la difesa della vita” e si basa sul principio evangelico della difesa della dignità umana. Bisogna, quindi, rispettare i diritti all’autodeterminazione, alla delimitazione dei territori e alla consultazione preventiva, libera e informata dei popoli indigeni. Un punto specifico viene, poi, dedicato alle Popolazioni indigene in isolamento volontario (Piav) o in Isolamento e contatto iniziale (Piaci) che oggi, in Amazzonia, ammontano a circa 130 unità e spesso sono vittime di pulizia etnica: la Chiesa deve intraprendere due tipi di azione, una pastorale ed un’altra “di pressione”, affinché gli Stati tutelino i diritti e l’inviolabilità dei territori di tali popolazioni. Nell’ottica, poi, dell’inculturazione – ovvero dell’incarnazione del Vangelo nelle culture indigene – spazio viene dato alla teologia india e alla pietà popolare, le cui espressioni vanno apprezzate, accompagnate, promosse e talvolta “purificate”, poiché sono momenti privilegiati di evangelizzazione che devono condurre all’incontro con Cristo. L’annuncio del Vangelo, infatti, non è un processo di distruzione, ma di crescita e di consolidamento di quei semina Verbi presenti nelle culture.
Difendere e promuovere i diritti umani, oltre che un dovere politico e un compito sociale, è un’esigenza di fede. Di fronte a questo dovere cristiano il Documento denuncia la violazione dei diritti umani e la distruzione estrattiva; assume e sostiene, anche in alleanza con altre Chiese, le campagne di disinvestimento delle compagnie estrattive che causano danni socio ecologici all’Amazzonia; propone una transizione energetica radicale e la ricerca di alternative; propone inoltre lo sviluppo di programmi di formazione per la cura della “casa comune”. Agli Stati si chiede di smettere di considerare la regione come una dispensa inesauribile, mentre si auspica un “nuovo paradigma dello sviluppo sostenibile” socialmente inclusivo e che combini conoscenze scientifiche e tradizionali. I criteri commerciali, è la raccomandazione, non siano al di sopra dei criteri ambientali e dei diritti umani.
Nel contempo si riconosce la “ministerialità” affidata da Gesù alla donna e si auspica una “revisione del Motu Proprio Ministeria quædam di San Paolo VI, affinché anche donne adeguatamente formate e preparate possano ricevere i ministeri del lettorato e dell’accolitato, tra gli altri che possono essere svolti”. Il Documento finale propone “di stabilire criteri e disposizioni da parte dell’autorità competente, per ordinare sacerdoti uomini idonei e riconosciuti della comunità, che abbiano un diaconato permanente fecondo e ricevano una formazione adeguata per il presbiterato, potendo avere una famiglia legittimamente costituita e stabile, per sostenere la vita della comunità cristiana attraverso la predicazione della Parola e la celebrazione dei sacramenti nelle zone più remote della regione amazzonica”. Per rispondere in modo autenticamente cattolico alla richiesta delle comunità amazzoniche di adattare la liturgia valorizzando la visione del mondo, le tradizioni, i simboli e i riti originari si chiede al suddetto Organismo della Chiesa in Amazzonia di costituire una commissione competente per studiare l’elaborazione di un rito amazzonico che “esprima il patrimonio liturgico, teologico, disciplinare e spirituale dell’Amazzonia”.