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E se fossi anch’io un piccolo Trump?

L’Editoriale di Andrea Antonuccio

Care lettrici, cari lettori,
il 2020 è iniziato con forti presagi di guerra. In Iraq, in Iran e in Libia la situazione è a dir poco effervescente, mentre la diplomazia internazionale sembra avere le armi spuntate; senza dimenticare i tanti conflitti che agitano il nostro pianeta, e che fecero pronunciare a papa Francesco, già nel 2014, parole implacabili: «Siamo di fronte a un nuovo conflitto globale, ma a pezzetti. Nel mondo c’è un livello di crudeltà spaventosa, la tortura è diventata ordinaria. Sì, un aggressore “ingiusto” deve essere fermato, ma senza bombardare o fare la guerra». Francesco fu non facile profeta. In molti pensarono che esagerasse. E invece… «Senza bombardare o fare la guerra»: ebbene, sei anni e mezzo dopo quell’affermazione siamo qui a fare i conti con missili, droni e lo spettro di una escalation militare che (Dio non voglia) coinvolgerebbe inevitabilmente tutto il mondo. La pace è un bene prezioso, ha detto il Santo Padre nel suo messaggio per la 53a Giornata mondiale della pace, celebrata il 1° gennaio 2020. Una pace, ha scritto Francesco, «oggetto della nostra speranza, al quale aspira tutta l’umanità».

Ma è davvero così? E quale “pace” desideriamo? Il quieto vivere, l’assenza di conflitti, o che altro? Ho fatto questa domanda (e non solo) al nostro vescovo: è l’intervista con cui apriamo il settimanale. Il tema ci sembra cruciale: la pace riguarda anche la nostra vita quotidiana, i consueti rapporti umani, sul lavoro, in famiglia, nella comunità. Si può desiderare la pace nel mondo, e allo stesso tempo non essere in pace con se stessi? Si può biasimare e condannare Trump, o il “cattivo” di turno, e contemporaneamente comportarsi come lui (nel nostro piccolo, certo) con i propri figli, con gli amici o con i colleghi? In altre parole: che cos’è la pace vera? Ed è realmente possibile ottenerla?

direttore@lavocealessandrina.it

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