Il coraggio di fare il proprio lavoro per rompere quel muro di silenzio e omertà
Paolo, Sandro e don Pino: i volti di chi non abbassa la testa per dare un futuro migliore al nostro Paese
Avevo 16 anni quando ho conosciuto la storia di Peppino Impastato (in foto qui sotto), il giovane siciliano che combatteva la mafia a Cinisi “ironizzando” sul boss (e suo parente) Gaetano Badalamenti. Ancora oggi mi colpiscono i suoi occhi: onesti, umili, vivi. Pronti a difendere la propria terra, i propri concittadini, il proprio Paese. Non per un ideale, non per una bandiera politica. Ma per il futuro di tutti, anche al costo di perdere la vita (come accade la notte tra l’8 e il 9 maggio del 1978). Gli stessi occhi, quelli di Peppino, oggi si rivedono nei tanti giornalisti che si battono per la libertà di stampa, privandosi a volte anche della loro libertà personale. Uno di questi è Paolo Borrometi (leggi anche L’intervista al giornalista sotto scorta Paolo Borrometi), 37enne modicano, che ho avuto l’onore di poter intervistare (e quindi conoscere).
Non ho potuto guardare negli occhi Paolo, ma dalla chiacchierata al telefono ho sentito la sua voce: ferma, chiara, semplice. Paolo è uno dei 15 giornalisti che in Italia vivono attualmente sotto scorta, e fa parte dei circa 2.800 giornalisti che sono stati minacciati dal dopoguerra a oggi (leggi anche I giornalisti vittime in Italia e nel mondo). La sua vita è cambiata da quando denuncia con un’inchiesta, sulla sua testata “LaSpia.it”, le infiltrazioni mafiose nel comune di Scicli (Ragusa). Si mette contro la criminalità organizzata ragusana, viene minacciato e aggredito nel 2014. Poi viene messo sotto scorta. «In realtà ho fatto semplicemente il mio dovere. Ho cercato di dare il mio contributo a quello che è il giornalismo libero, il giornalismo che deve scavare, che deve fare le pulci a qualche tipo di potere» mi racconta Paolo. Chi continua a scavare in questa “montagna di merda” (citando Impastato) è Sandro Ruotolo (nella foto qui sotto), giornalista che dal maggio del 2015 è sotto scorta per le minacce ricevute da Michele Zagaria, boss dei Casalesi. «Se un boss della Camorra se la prende con un giornalista, il motivo più evidente è che questo giornalista è stato l’unico ad affrontare il problema.» così Ruotolo in un’intervista dopo la notizia della scorta.
In certi casi il giornalista è l’unico a metterci la faccia. Non le istituzioni, non la politica, non i cittadini comuni, ne tanto meno la Chiesa. Ma non solo i giornalisti alzano la testa, anche quando la montagna sembra invalicabile. Infatti, vorrei chiudere con le parole di un altro volto che ha combattuto la criminalità organizzata a Brancaccio, un quartiere di Palermo, cercando di togliere i ragazzi dalle mani della mafia e dare loro un futuro lontano dalla violenza. È don Pino Puglisi, il parroco ucciso dalla mafia il 15 settembre 1993: «Mi rivolgo anche ai protagonisti delle intimidazioni che ci hanno bersagliato. Parliamone, spieghiamoci, vorrei conoscervi e sapere i motivi che vi spingono a ostacolare chi tenta di aiutare ed educare i vostri bambini alla legalità, al rispetto reciproco, ai valori della cultura e della convivenza civile. Chi usa la violenza non è un uomo». Buona lettura!
Diamo i numeri
- 28 i giornalisti morti per il loro lavoro dal dopoguerra a oggi sono 27, secondo il bilancio tracciato dall’associazione “Ossigeno per l’informazione”. Alcuni volti con la loro storia potete trovarli nella pagina qui a fianco.
- 15 i giornalisti che vivono attualmente sotto scorta in Italia. Mentre i magistrati sotto protezione nel 2019 erano 274, i politici erano 82, gli imprenditori 45, i diplomatici 28, e i religiosi 11.
- 2.800 il numero dei giornalisti che sono stati minacciati, sia verbalmente che fisicamente, dal dopoguerra a oggi nel nostro Paese, sempre secondo “Ossigeno per l’informazione”.
- 569, al 1° giugno 2019, il numero delle misure di protezione nel nostro Paese: la regione prima in classifica è il Lazio (con 173 tutele), seguita da Sicilia (124), Campania (70), Calabria (67) e Lombardia (40).
- 2.015, secondo i dati del Viminale, nel 2019 erano le forze dell’ordine impiegate nel servizio di scorta. Con 211 unità per le vigilanze fisse, 404 auto blindate e 234 vetture non specializzate.
Speciale a cura di Alessandro Venticinque
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