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«Lui non ha mai voluto essere un eroe»

LE STORIE DI VOCE

Intervista esclusiva a Danilo Sulis, amico di Peppino Impastato e cofondatore di “Radio Aut”

Quella di Peppino Impastato, ucciso nel suo paese, Cinisi in provincia di Palermo, a soli 30 anni, non è soltanto una storia di lotta alla mafia. È la lotta di chi si ribella per proteggere la propria terra, che dal dopoguerra era in mano alla potente famiglia dei Badalamenti. Sin da giovane la sua attività politica e culturale lo porta a una rottura con il padre, da lui ritenuto vicino alla mafia. Nel 1976 Peppino fonda “Musica e cultura”; un anno dopo apre “Radio Aut”, con cui denuncia crimini e abusi del boss Tano Badalamenti. Poi la sua morte, nella notte tra l’8 e il 9 maggio 1978, proprio nel giorno in cui veniva ucciso l’onorevole Aldo Moro. Le prime indagini dicono che Impastato si è legato sui binari di un treno e si è fatto saltare in aria con del tritolo. Solo nel 1997 viene emesso un mandato di cattura per quel Tano Badalamenti di cui Impastato era parente. Per raccontare meglio questa storia abbiamo contattato Danilo Sulis (nella foto), caro amico di Peppino e cofondatore di “Radio Aut”. Dal 2007 Sulis è direttore di “Rete 100 Passi” e “Radio 100 Passi”, la cui sede è proprio nell’ex casa del boss di Cinisi.


Sulis, per lei chi è stato Peppino Impastato?
«Peppino è stato un amico che ho conosciuto casualmente. Io sono di Palermo, negli Anni 70 ero un musicista conosciuto a livello nazionale e finii a Cinisi proprio per la musica. Lui era un punto di riferimento. Un leader, così mi piace definirlo: non ci ha mai fatto pesare le difficoltà che aveva in famiglia, ma cercava sempre di caricarci. Un compagno, anche politico, di vita e di strada».

Un famoso striscione recita: “Con le idee e il coraggio di Peppino noi continuiamo”. Lei come ha continuato?
«Ho continuato riaprendo la radio nel 2007 e creando l’associazione “Rete 100 passi”. Si tratta di un network formativo che tocca tutte le aree della comunicazione. Oltre alla radio abbiamo il giornale online, “100 Tv” e il circolo “Musica e cultura”. Da quel 9 maggio 1978 c’è stato un vuoto e un blocco delle attività… senza la verve e l’ironia di Peppino».

Oggi esistono ancora persone come lui?
«Agli studenti dico sempre che non abbiamo bisogno di eroi. Peppino lo è diventato pur non volendo. Dobbiamo ragionare come tante formichine che nel loro piccolo contribuiscono a creare una coscienza civile».

Che ricordo ha di Felicia, la mamma di Impastato?
«Secondo me è stata più eroica del figlio. Che un ragazzo giovane abbia voglia di cambiare le cose, ci sta. Ma che una signora anziana si metta contro tutto il paese è più difficile. Dopo la morte di Peppino si è costituita parte civile, e al processo, indicando Tano Badalamenti, gli ha detto: “Tu hai ucciso mio figlio”. E il boss in quel momento ha abbassato lo sguardo. Il destino vuole che lei sia morta dopo la condanna di Badalamenti. Come se stesse vivendo solo per ottenere giustizia…».

Il funerale di Peppino

Cito un’altra frase di Peppino: «Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà». Anche il Papa ha detto di non accontentarsi di una vita senza bellezza.
«L’idea era di combattere la mafia attraverso la cultura, e per questo ho riaperto il circolo “Musica e cultura”. Papa Francesco ha seguito il monito contro i mafiosi lanciato ad Agrigento da papa Giovanni Paolo II, il 9 maggio 1993 (esattamente 15 anni dopo la morte di Impastato, ndr)».

E “Radio Aut”?
«Era una delle tante “radio libere”, un nostro mezzo di espressione e di comunicazione. La trasmissione più importante era “Onda pazza”, in cui Peppino usava l’ironia e lo sberleffo: il capo indiano Toro Seduto diventava “Tano seduto”, riferendosi al boss. Una parodia che colpiva tutti i mafiosi della zona».

Questa è stata la sua condanna a morte?
«Lui non è morto solo perché ha denunciato il boss. Sia chiaro, Badalamenti era una figura mondiale negli affari con la droga, e se il depistaggio è durato fino al ‘92 è proprio grazie ai rapporti che aveva con lo Stato e le Forze dell’ordine. In radio gli facevamo il solletico. Ma Peppino ha ridicolizzato queste persone davanti al paese, e questo non lo potevano sopportare».

La nuova “Radio 100 Passi”

Come può un cittadino combattere la mafia?
«Facendo il proprio dovere e rispettando le regole. Da giovani non le rispettavamo e avevamo un’altra idea, ma le leggi tutelano sempre i più deboli. E i boss non le rispettano. Se esiste una legge ci si può appellare per un sopruso o un’ingiustizia. Ma penso al quotidiano: in Meridione molte famiglie hanno case abusive, e se parli a qualche ragazzo di illegalità non pensa a casa propria. Non si rende conto che nel suo piccolo c’è dell’illegale».

Un aneddoto su Peppino?
«Una volta Rai Storia mi ha chiesto di raccontare un momento allegro con Peppino. E, imbarazzato da questa domanda, ho risposto: “In spiaggia qualche volta abbiamo cantato le canzoni di Guccini” (sorride, ndr). Quello è stato uno dei pochi momenti di svago. Lui era molto severo e rigido, anche con se stesso. Ha dato tutto per la lotta alla mafia e il suo paese».

Alessandro Venticinque

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