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Francesco Faà di Bruno/2

Mi ricordo…

A Parigi aveva organizzato i “fornelli economici” nei quali si cucinavano e vendevano, a basso costo, generi alimentari per i poveri. Ma il governo fece orecchi da mercante; i fornelli funzionavano a singhiozzo. Allora diede vita ad una associazione che proponeva il riposo festivo per tutti. Vicepresidente fu Giovanni Bosco il quale non vedeva il problema soltanto sotto il profilo religioso ma anche sotto l’aspetto sociale; infatti in un appello agli operai scrisse: “non si deve rovinare la salute per lavorare la domenica”. Da notare che i temi sociali relativi alla condizione dei lavoratori verranno espressi in seguito dall’Enciclica “Rerum Novarum”di Papa Leone XIII il quale esorta i cattolici ad impegnarsi per la dignità dei lavoratori e per la giusta mercede agli operai.
Altra iniziativa sociale di Faà di Bruno fu l’opera di Santa Zita: “Francesco a 44 anni era nel vigore delle forze. Acquistò una casetta in Borgo S.Donato, borgata povera e malfamata non lontana da Valdocco e dall’opera del Cottolengo. Qui ebbe inizio la “città della donna”; ai giovani pensava Don Bosco, ai malati il Cottolengo, la marchesa di Barolo alle prostitute ed ex-carcerate. Francesco , nobile e con amicizie di alto livello, si occupa invece delle donne lavoratrici, disprezzate ed esposte ai pericoli. Scelse come protettrice Santa Zita il cui nome significa “piccina”, donna la quale, durante la vita, fu umile domestica. Era chiamata “Protettrice dei poveri nella notte.” Alla casa Santa Zita Francesco offriva un asilo sicuro e gratuito alle persone di servizio in cerca di lavoro. Se licenziate le aiutava a trovare un altro posto. Spesso donne che avevano servito per anni, arrivate sui cinquanta anni, venivano scartate come rifiuti. L’opera Santa Zita provvedeva in questi casi offrendo la possibilità di affrontare la vecchiaia al sicuro.
Nella mente attiva di Francesco i progetti si moltiplicavano. Nel 1862 egli pensò all’esigenza di un giornale cattolico che facesse conoscere all’opinione pubblica le storture derivanti da errori ideologici e illuminasse le menti sulle questioni del giorno. Prima del periodo parigino aveva fondato il “Galantuomo”, un calendario di notizie utili ai contadini e alle casalinghe. Lo lanciò poi don Bosco che lo portò al successo. Pensò di fondare un “Liceo privato” per preparare le nuove leve a gestire il domani; don Bosco vi manderà i primi cinque giovani per conseguire il titolo riconosciuto dallo Stato. Altro progetto: costituì, primo in Torino, una Biblioteca circolante per la diffusione di buone letture con prestito di due libri per volta con diritto di riceverli a casa; dopo dieci anni, seguì un’altra Biblioteca postale destinata al “Clero e buoni fedeli”, per i sacerdoti bisognosi di aggiornamento culturale e religioso. Il progetto, in seguito, fu approvato da Leone XIII.
Si prendeva inoltre cura delle sue preferite, le Clarine, protette di Santa Chiara. Erano ragazze di umili origini, addette a lavori pesanti, e presentavano menomazioni fisiche. Erano disprezzate e abbandonate. Francesco le accoglieva, entravano nell’Istituto e per tutta la vita godevano di assistenza materiale, morale, religiosa. Alle Clarine Egli riservava un affetto particolare: prima di farsi sacerdote riceveva la Comunione a fianco dell’addetta al lavoro meno qualificato, la pulizia della stalla, Lui altissimo, nobile, Lei piccolissima e ignobile per i più.
Nella sua sensibilità religiosa e morale Francesco voleva offrire una mano a ragazze disperate e fondò le sue opere nel riserbo. Per lui le “Clarine” dell’opera erano una incarnazione dei valori espressi nelle “Beatitudini” da Gesù. Fondò anche un pensionato per Signore anziane e uno per sacerdoti poveri, poi l’infermeria di San Giuseppe per donne prive di mezzi di sostentamento, ove si prendeva cura, nella sua spiccata sensibilità sociale, delle ragazze di umili condizioni. Anche Il problema delle ragazze-madri si era presentato presto al Faà, che se ne volle occupare: tra le donne di servizio moltissime avevano dovuto licenziarsi per non sottostare alle violenze dei padroni. Altre vi erano incappate e, rese madri, venivano allontanate e private del lavoro per colpe non loro. L’opera Santa Zita contemplava anche loro in una visione morale lontana da ipocrisie e pregiudizi.

Flavio Ambrosetti

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