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Come leggere il dolore durante la pandemia?

“La recensione” di Fabrizio Casazza

In un periodo triste come quello della pandemia in corso non risulta proprio fuori luogo leggere un libro intitolato Piangere, pubblicato da Cittadella Editrice (pp 116, euro 11,50). Questo anno è stato segnato per tutti dalle lacrime, per le vite perse, le sofferenze vissute direttamente o condivise, il dolore per l’isolamento, lo strazio di addii solitari.

È difficile offrire una visione umanamente appropriata e cristianamente ispirata su questo tema: vi si cimentano congiuntamente due teologi morali, don Salvatore Cipressa, docente all’Istituto Superiore di Scienze Religiose (Issr) di Lecce e segretario nazionale dell’Associazione Teologica Italiana per lo Studio della Morale, e don Giuseppe Pani, Ordinario presso l’Issr di Sassari-Tempio Ampurias Euromediterraneo. In fondo ciascuno di noi non vede l’ora che l’emergenza sanitaria sia solo un brutto ricordo ma l’attualità ci provoca. Ha ragione don Pani a concludere che la «speranza non sta nell’attendere che le cose “fuori” di noi migliorino come per incanto. Sta nel costruire all’interno di noi un rapporto più autentico con quello che accade nella nostra anima; nel tenere duro anche quando il moto delle nostre lacrime è così devastante da indurci a pensare che sia inutile lottare; nell’aprirci al Dio della novità, affidandogli un “al di là”, un futuro che non possiamo vedere» (p. 105).

La dolorosa esperienza della pandemia mostra che pure in un contesto di fragilità, quando non è possibile vivere il cammino ordinario della fede, è importante per le persone sentirsi comunità, e in questo è fondamentale il ruolo dei Pastori, chiamati sia a vivere ed esprimere una prossimità spirituale, anche se pure loro sono segnati dalla vulnerabilità, sia a condividere le lacrime del popolo di Dio, che sono anche le loro. Il punto di partenza – ma in fondo anche di arrivo – consiste nell’accettare la propria creaturalità.

Giustamente don Cipressa afferma: «Le lacrime hanno una densità semantica che trascende il fenomeno fisico e sono un prodotto non solo del corpo, ma anche della mente, dell’anima, dello spirito. Sono espressione dell’interiorità del soggetto, manifestazione dell’invisibile, linguaggio del cuore, eloquenza discreta dell’anima» (p. 56). Insomma, piangere non è solo un modo per sfogarsi e non dobbiamo vergognarcene. È anche una via per ricordarci che siamo solo creature: per fortuna noi cristiani siamo cosci di avere un Creatore che ha volto e premura di Padre.

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