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Dorothy Day e “Una lunga solitudine”

“La recensione” di Fabrizio Casazza

È appena uscita la terza edizione italiana dell’autobiografia della Serva di Dio Dorothy Day, intitolata “Una lunga solitudine” (Jaca Book, pp 263, euro 20), pubblicata per la prima volta nel nostro Paese nel 1984 e in originale nel 1952. Dunque, un libro con una storia che parte da lontano.

L’autrice nacque negli Stati Uniti nel 1897. Il professor Robert Coles nell’Introduzione la definisce «una donna di classe media con genitori protestanti […], che divenne una suffragetta e, infine, una laica attiva nella Chiesa cattolica» (p. 20). Ma l’esordio fu ben diverso, com’ella stessa confessa: «mi misi a bestemmiare, a nominare il nome di Dio invano, coscientemente, per scandalizzare le amiche credenti» (p. 54). Pensa di trovare la risposta alle sue domande nel marxismo partendo da un genuino interrogativo: «perché si fa tanto per rimediare ai mali sociali invece di prevenirli?» (p. 56). Il risultato: «ero in bilico tra socialismo, sindacalismo […] e anarchia» (p. 70).

Infermiera volontaria durante l’epidemia del 1918, si dedica poi al giornalismo. L’iniziale fascino per le masse l’accompagna anche nel cammino di conversione trasformandosi in interesse per la dimensione comunitaria della fede cattolica. Significative le sue stesse, accorate – se non veementi – parole: «Amavo la chiesa per Cristo reso visibile. […]. Lo scandalo di preti affaristi, di ricchezza collettiva, la mancanza di un senso di responsabilità verso i poveri […] perché si consentiva che fossero sfruttati dalla classe di industriali e capitalisti, tutto questo mi induceva spesso a considerare i preti più simili a Caino che ad Abele. […]. C’era abbondanza di carità, ma poca giustizia» (p. 144).

Non mancarono nella sua vita esperienze drammatiche. Rimasta incinta di un giovane collega giornalista, decide di abortire. Esce sconvolta da questa esperienza: il rimorso per la vita abortita e lo spettro della sterilità aumentano a dismisura il suo desiderio di una nuova maternità e le sembra un miracolo l’accorgersi di essere nuovamente incinta. Il desiderio di battezzare la figlia nella Chiesa cattolica la conduce in un itinerario che culminerà nel 1928 nella conversione al cattolicesimo. Nel 1933 crea una testata, The Catholic Worker, che successivamente diventerà anche un movimento di aiuto ai senzatetto e diseredati. Morì a New York nel 1980 e nel 2000 cominciò il suo processo di beatificazione.

Nel 2015 papa Francesco durante il discorso all’assemblea plenaria del Congresso a Washington disse: «In questi tempi in cui le preoccupazioni sociali sono così importanti, non posso mancare di menzionare la serva di Dio Dorothy Day, che ha fondato il Catholic Worker Movement. Il suo impegno sociale, la sua passione per la giustizia e per la causa degli oppressi, erano ispirati dal Vangelo, dalla sua fede e dall’esempio dei santi». La lettura della sua autobiografia aiuta a conoscere i travagli e il mondo interiore di questa donna.

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