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Si può dichiarare Servo di Dio un assassino?

“La recensione” di Fabrizio Casazza

La Chiesa può dichiarare Servo di Dio un assassino? Sì, se si converte. È il caso del francese Jacques Fesch (nella foto), nato nel 1930 in una famiglia benestante, sposato, padre di una bambina. Sogna un viaggio in barca, per finanziare il quale compie una rapina. Ferito si dà alla fuga ma viene raggiunto da un agente di polizia che lui uccide con la pistola. Catturato, incarcerato, processato, viene condannato a morte e ghigliottinato, a soli 27 anni, nel 1957. Nel 1993 il cardinale Jean-Marie Lustiger, all’epoca arcivescovo di Parigi (luogo dell’esecuzione), avvia la causa di beatificazione.

Il cognato del giustiziato, Ruggiero Pietro Francavilla, ha recentemente dato alle stampe con le edizioni Segno, insieme alla moglie Monique, “Il mistero di un giovane. Jacques Fesch” (pp 369, 28 euro). È interessante cogliere l’evoluzione spirituale che il ragazzo compie mentre è in prigione, come testimoniano alcuni pensieri, tratti dalle sue epistole, riportati nel libro: «piuttosto d’essere un cadavere ambulante, com’ero in libertà, è meglio essere rinchiuso e vivere» (p. 129), scrive il 21 dicembre 1955.

Questa frase fa capire la libertà interiore che il pentimento può suscitare nell’anima anche di chi si macchia di gravi delitti, come il furto e l’omicidio. Soffermandosi a riflettere sul proprio cambiamento interiore, l’11 febbraio 1956 afferma: «Ho trovato la pace, ma nello stesso tempo la lotta. Lotta perpetua che mi fa avanzare, e quanto più avanzo, tanto più mi accorgo della mia miseria e del cammino infinito che mi resta da percorrere» (p. 134). Da qui si capisce che la vita spirituale non è un divano su cui adagiarsi ma una strada su cui camminare.

Percorrerla insieme ai fratelli e alle sorelle che condividono la fede, nella Chiesa, è certamente fonte di pace ma non si tratta della quiete degli spensierati. È la pace del Risorto, che genera in chi la riceve l’inquietudine di diffonderla. Il vero cristiano sa che l’orizzonte in cui si muove e la prospettiva verso cui tende è la Gerusalemme celeste; lì è la meta del cammino dell’esistenza.

Lo aveva capito bene anche il giovane Jacques, che qualche giorno prima di essere decapitato, il 25 settembre 1957, scrive: «Io non muoio, cambio solo vita» (p. 287). Lascia davvero interdetti il sapere che ancora nel secolo scorso in Francia era in azione la ghigliottina. La lettura di questo libro fa prendere coscienza dell’itinerario di conversione per un assassino, che pentito dei suoi crimini è riuscito a vivere fino all’ultimo il comandamento dell’amore.

Allo stesso tempo si coglie anche l’evoluzione della società, che trova ripulsa per la pena capitale, teoricamente ammessa anche dal Magistero, fino alla modifica al Catechismo della Chiesa cattolica apportata nel 2018 da papa Francesco: «Per molto tempo il ricorso alla pena di morte da parte della legittima autorità, dopo un processo regolare, fu ritenuta una risposta adeguata alla gravità di alcuni delitti e un mezzo accettabile, anche se estremo, per la tutela del bene comune. Oggi è sempre più viva la consapevolezza che la dignità della persona non viene perduta neanche dopo aver commesso crimini gravissimi. Inoltre, si è diffusa una nuova comprensione del senso delle sanzioni penali da parte dello Stato. Infine, sono stati messi a punto sistemi di detenzione più efficaci, che garantiscono la doverosa difesa dei cittadini, ma, allo stesso tempo, non tolgono al reo in modo definitivo la possibilità di redimersi. Pertanto la Chiesa insegna, alla luce del Vangelo, che “la pena di morte è inammissibile perché attenta all’inviolabilità e dignità della persona”, e si impegna con determinazione per la sua abolizione in tutto il mondo».

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