Cammino di San Marco 2021
«Sono partito agnostico, con il desiderio di passare del tempo in canoa sul fiume con degli amici a cui ero molto affezionato, e ne sono uscito credente». Lorenzo Salvaneschi (in foto) ha 19 anni, tra poco inizierà il primo anno di Scienze Politiche all’Università Statale di Milano e questa esperienza del Cammino di San Marco se la ricorderà per sempre.
Lorenzo, come sei partito e come sei “uscito” dal Cammino?
«La mia condizione di partenza era il desiderio di fare 460 chilometri su Po per superare i miei limiti fisici, fare un’esperienza in mezzo alla natura, vivendo a Milano non ho grandi occasioni di solcare un fiume o vedere degli insetti, andare all’avventura: ho sempre dormito in un letto comodo e mai per terra dentro un sacco a pelo, volevo capire come ci si sente. Del resto non mi curavo: avevo rispetto della fede altrui, ma a me non interessava, in perfetto stile “vivi e lascia vivere”».
E come sei tornato a casa?
«Durante il Cammino mi sono spesso chiesto se Dio esistesse davvero e a oggi posso dire di essere credente».
Come è cambiata la tua vita?
«Cerco di andare a Messa la domenica: non mi riesce sempre, ma prima è una cosa che non avrei mai inserito nel mio fine settimana. Nel pellegrinaggio sul fiume ho letto il Vangelo di Marco e “l’ho messo in saccoccia”: adesso devo ammettere che vivo la mia vita molto meglio».
In che senso?
«È difficile spiegarlo, provo con degli esempi pratici: mi sento più disponibile verso l’altro. Lo vedo nelle piccole cose: mi piace condividere il mio piatto, sono felice se qualcuno sorride mangiando una cosa che ho cucinato io. Oppure quando faccio le mie elucubrazioni tra me e me, le riflessioni che ne traggo sono meno tormentate e più tranquille. Alcune angosce sul senso della vita si sono acquietate».
C’è un momento nel Cammino che ricordi come punto di svolta?
«Mi hanno cambiato alcune chiacchierate con Raoul, Alessandro e il professore (Antonio Lizzadri, ndr), ma l’esperienza più forte è sicuramente stata la caduta in acqua. Avevamo appena passato la Conca Serafini: ho visto tutta la vita passarmi davanti. Grazie a Dio sono riuscito a salire su una barca a motore attraccata sul porticciolo che era lì accanto e a tirare su anche il professore, che era caduto in acqua assieme a me. Dei pescatori che passavano di lì proprio in quel momento ci hanno poi riportati dagli altri. Mentre ero lì, aggrappato alla barca, mi è venuto in mente Ungaretti, l’ultima strofa di Veglia: “Non mi sono mai sentito tanto attaccato alla vita”. Con quell’episodio ho chiuso un capitolo della mia vita e ne ho aperto un altro».
E com’è questo nuovo capitolo?
«Lo sto vivendo, te lo saprò dire tra un anno. Sicuramente adesso ho un diverso rapporto con il telefono. Nella caduta è rimasto in acqua e io ho avuto così la possibilità di godermi al massimo i giorni seguenti. Mentre tutti facevano i Vespri, io scrivevo i miei pensieri: se avessi avuto il telefono in mano mi sarei perso dietro alle notifiche. Ora sono certo che se facessi un’altra esperienza del genere lo spegnerei alla partenza e lo riaccenderei alla fine. Una volta rientrato a casa, il mio utilizzo dello smartphone è calato: sono sicuramente meno aggiornato sui fatti del mondo, ma mi godo molto di più la vita».
Rifarai il Cammino di San Marco l’estate prossima?
«Certo che sì! Lo sto consigliando a un sacco di persone».
Zelia Pastore
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