“La recensione” di Fabrizio Casazza
Gbp, la casa editrice della Pontificia Università Gregoriana e del Pontificio Istituto Biblico, due prestigiose istituzioni accademiche romane gestite dai Gesuiti, ha inaugurato una nuova collana, Perle, composta da volumi agili, di piccolo formato, in cui un biblista e un esperto interagiscono su un tema specifico. Sono appena usciti i primi due titoli, che qui succintamente presentiamo.
Il biblista Antonio Pitta e il giurista Nicolò Lipari esaminano La giustizia (pp 149, euro 18). Monsignor Pitta (Pro Rettore della Pontificia Università Lateranense e Consultore della Congregazione per la Dottrina della Fede e del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione) spiega che nella Lettera ai Romani la giustizia è vista come labirinto da attraversare senza mai prescindere dalla grazia, che le permette di essere espressione del diritto, soprattutto del debole che di fronte al forte viene spesso umiliato. I fili indispensabili per attraversare tale labirinto sono, da un lato, la fede, che «è fiducia, fedeltà, affidabilità, affidamento, accreditamento e credibilità. Fede è anzitutto fedeltà di Uno, nonostante l’infedeltà dell’altro» (p. 31); dall’altro, la legge. «Sono distinte e raccordate da chi non può fare a meno di entrambe.
Senza la legge, manca la luce che illumina la via; senza la fede, manca il filo che conserva il legame con chi si trova all’inizio della fede: Arianna o la comunità che sostiene nel tragitto» (p. 39). Il docente universitario ed ex senatore Lipari chiarisce che nei modelli culturali comuni il concetto di diritto può solo accidentalmente incontrare quello di giustizia ma in realtà esistono principi che s’impongono al legislatore. In altre parole per trovare il diritto non dobbiamo cercarlo nell’alto di norme poste ma dobbiamo guardare al basso di un’esperienza attuata secondo valori condivisi, giuridicamente caratterizzata come ragionevolezza, «principio principe per l’attuazione del diritto» (p. 113) e «bussola di orientamento per giudicare l’operatività delle leggi, la loro capacità di incidere sul tessuto sociale» (ivi).
L’economista Luigino Bruni e il biblista Massimo Grilli indagano L’uso dei beni (pp 167, euro 18). Don Grilli (emerito della Pontificia Università Gregoriana di Roma), evidenzia che la Scrittura «chiama i credenti a testimoniare un modo diverso di relazionarsi» (p. 68). L’idea di fondo è che «le ricchezze non sono di per sé un male, e tuttavia costituiscono un pericolo, perché hanno il potere di signoreggiare l’uomo, oscurando il primato del Regno» (p. 72).
Bruni, Ordinario alla Lumsa e Consultore del Dicastero vaticano per i laici, la famiglia e la vita, nel corso della presentazione del suo contributo (che riprende articoli pubblicati sul quotidiano Avvenire dal 2014) ha spiegato che la meritocrazia è la legittimazione etica della diseguaglianza perché si confonde il talento con il merito. Se si analizza la Scrittura si constata invece che i personaggi biblici ricevono la vocazione mentre lavorano: attualizzando, ciò significa che mentre si tira su la serranda o si accende il computer in ufficio, lì Dio chiama. Questi due libri rappresentano veramente perle preziose per fare interagire il messaggio biblico con le situazioni contemporanee.
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