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Confessione è liberazione. In barba al Maligno

L’Editoriale di Andrea Antonuccio

Care lettrici, cari lettori,

qui a lato vi raccontiamo l’inizio del Cammino di San Marco attraverso le parole di alcuni partecipanti e del nostro Vescovo. Vale la pena leggere, e tentare di immedesimarsi con chi ha deciso di imbarcarsi (letteralmente) in questa avventura che porterà 12 pellegrini fin sulla tomba di San Marco a Venezia. Perché immedesimarsi? Perché pellegrini nella vita lo siamo tutti, siamo in cammino (“di San Marco” oppure no). Credo che a nessuno vengano risparmiate le fatiche quotidiane dell’esistenza, che a volte ci appaiono insormontabili e insopportabili: malattie (nostre e altrui), tradimenti, difficoltà economiche, delusioni… Senza contare quei pesi morali che ci tolgono il respiro e ci stringono il cuore, quando ci accorgiamo di aver fatto una scemenza irreparabile, o pensiamo di aver offeso qualcuno e di averlo trattato male, non secondo la sua dignità. Com’è difficile recuperare la stima da parte dell’altro, a cui si vorrebbe chiedere perdono, a volte senza riuscirci… ecco, a me hanno fatto rialzare la testa (e riprendere fiato) le parole di papa Francesco che trovate sul nostro Paginone dedicato al Giubileo del 2025.

Le riporto anche qui, integralmente: «Il confessore, infatti, è chiamato quotidianamente e recarsi nelle “periferie del male e del peccato” – questa è una brutta periferia! – e la sua opera rappresenta un’autentica priorità pastorale. Confessare è priorità pastorale. Per favore, che non ci siano quei cartelli: “Si confessa soltanto lunedì, mercoledì dalla tal ora alla tal ora”. Si confessa ogni volta che te lo chiedono. E se tu stai lì [nel confessionale] pregando, stai con il confessionale aperto, che è il cuore di Dio aperto». Il confessionale aperto, paragonato al cuore di Dio: solo Francesco riesce a dire delle verità teologiche tanto profonde in una maniera così semplice ed efficace.

«Confessare è priorità pastorale». E confessarsi, per chi prende sul serio questo sacramento, è veramente l’inizio della liberazione. Perché, vedete, il Maligno è meschino, ci fa ripiegare sul nostro ombelico e ci porta a pensare che il nostro limite abbia l’ultima parola sulla vita: io sono il mio peccato. Ma non è così. Prima ancora di peccare, io sono il mio bisogno: io ho bisogno di qualcuno che mi liberi! «Si confessa ogni volta che te lo chiedono». Ringrazio di cuore quei sacerdoti che ci sono sempre e non mettono i cartelli con gli orari. Sono una tappa fondamentale del nostro pellegrinaggio verso il Cielo.

direttore@lavocealessandrina.it

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