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Testimonianze di vita / Parte seconda – Ricordando mons. Canestri

[segue dal numero scorso]

Venne poi la notizia della sua promozione all’arcidiocesi di Cagliari, dove sarebbe diventato primate di Sardegna e Corsica, era il marzo 1984 e seguirono altre telefonate di augurio e di preghiere per il così importante incarico ed anche qualche apprensione per la sua salute che non gli permise di prendere possesso della diocesi sarda nel giorno fissato a causa di un imprevisto ricovero in ospedale. In quel caso a tenere i contatti erano le suore al servizio della sua casa privata. In particolare una di loro che mi riconosceva al solo pronunciare del «… pronto..» ed era più larga di notizie sapendo del mio rapporto con il Monsignore. A seguito dell’ottimo lavoro pastorale svolto a Cagliari, nel luglio 1987, per lui ci fu la promozione alla prestigiosa sede metropolitana di Genova, dove avrebbe raccolto la non facile eredità del suo predecessore il cardinale Giuseppe Siri. Le telefonate ancora una volta, mettevano in evidenza l’umiltà del sacerdote che ai doverosi complimenti, quasi si schermiva affermando che avevano scelto non certo il migliore ma che si rimetteva alla volontà di Dio e del Papa che all’epoca era Giovanni Paolo II, oggi santo. A tale proposito ricordo la sua elevazione al titolo cardinalizio nel 1988, quando lo incontrai al Concistoro nel quale mi trovavo in occasione di un incontro romano sui Beni Culturali della Chiesa. Ci fu un rapido saluto, un abbraccio e gli auguri per un fecondo apostolato da «Principe della Chiesa».

Ancora una volta don Giovanni mi disse in dialetto alessandrino che io rendo nella traduzione italiana: «… per carità, non sono mai stato né nobile né cavaliere, ma, essere al servizio degli ultimi e dei poveri è da sempre il mio sogno e se da principe potrò impegnarmi di più, ebbene, allora ben venga!». Un’altra volta lo incontrai in Vaticano, alla porta di Sant’Anna nel 1992, quando da poco ero stato incaricato di catalogare e analizzare le gemme del Sacrarium Liturgico della Sistina. Nel suo sguardo brillava l’interesse per le cose che stavo facendo e per quello che in pochi minuti gli ho raccontato. Leggendo nella sua mente, ho avvertito che avrebbe gradito una visita a quei locali che non aveva mai visto e glielo proposi. Non avevo neppure finito di argomentare con la giusta diplomazia che stavo imparando a usare frequentando il Sacro palazzo, che immediatamente mi disse: «… quando?»; «… anche subito» fu la mia risposta. «Ebbene allora andiamo» controbatté con il suo elegante modo di fare. Il tempo di avvisare il Maestro delle celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice che all’epoca era monsignor Piero Marini che ci raggiunse alla Sacrestia papale della Sala regia, e iniziò la visita. Il Cardinale mostrò attento interesse e fui sommerso da tante domande mirate e puntuali; il tempo volò e presto venne il momento di salutarci.

Seguirono ancora le solite telefonate nelle quali don Giovanni, non mancava mai di ricordare la visita fatta in Vaticano e le tante cose belle ammirate. Un’altra volta, per caso, lo trovai nella chiesa romana di Sant’Andrea della Valle alla quale apparteneva il suo titolo cardinalizio; vestiva la talare nera, liscia, senza alcun segno tranne la croce pettorale e l’anello, lo riconobbi a distanza per quello zucchetto porpora, di seta ondata, che indossava sui capelli ben ordinati, stava parlando con alcune persone forse per i restauri che si stavano realizzando; appena mi vide non esitò a chiamarmi, dicendomi che avrebbe contraccambiato il ruolo di cicerone come io avevo fatto con lui, nella Sacrestia papale. Nel giro della chiesa fece addirittura alcuni cenni all’opera «Tosca» che era ambientata proprio in quel tempio. Anche in quell’occasione il tempo passò velocemente come succede per le cose belle. Un altro suggestivo momento singolare l’ho vissuto quando di buonora, come d’abitudine quando svolgevo il mio incarico in Vaticano, mi capitò di attraversare piazza del Sant’Uffizio per recarmi all’ingresso del Portone di bronzo; incontrai l’allora cardinale Joseph Ratzinger, che dopo aver attraversato in diagonale piazza san Pietro, si apprestava a entrare nel palazzo sede del suo ufficio, l’arcivescovo monsignor Alberto Bovone che scendeva dalla Casa Generalizia delle suore di Madre Michel, dove risiedeva per recarsi anch’egli alla Congregazione della Dottrina della Fede della quale era Segretario ed eccezionalmente il cardinale Giovanni Canestri che si recava al Sacro palazzo per incombenze legate al suo ruolo. (continua/2)

diac. prof. Luciano Orsini
Delegato vescovile per i Beni Culturali della diocesi di Alessandria

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