Fede e Medicina
Difendere la vita come un comandamento
Domenica 2 febbraio sarà la Giornata per la Vita, stabilita dalla Cei all’indomani della legge 194; occasione speciale per riflettere da medico, oltre che da cattolico, sul significato profondo della nostra missione nei confronti del tema della vita. Ormai siamo rimasti in pochi, in attività, che hanno visto “il prima e il dopo”, che hanno avuto più dei ragazzi di oggi, forse, i mezzi per difendersi dalla pedagogia nefasta che la legge legalizzante l’aborto volontario ha portato nel nostro tessuto sociale e, prima ancora, nelle nostre coscienze. Ho sempre pensato che il medico ha avuto e ha una grossa responsabilità per la diffusione della pratica abortiva, prima e soprattutto dopo la sua legittimazione: altro non è che la eliminazione di un essere umano nel grembo materno. La prima domanda è: «Che fare?» da parte del medico, professionista, ma in se stesso missionario nei confronti della vita, dal concepimento alla fine naturale?
Si parla molto della obiezione di coscienza, come soluzione personale da parte del medico: non basta, non può bastare, anche perché bisognerebbe rifarsi al Giuramento di Ippocrate, per il medico legge sopra ogni legge da 500 anni prima di Cristo, in cui si afferma: «Non praticherò l’aborto». Non “obiezione” dunque, ma “comandamento” da epoca precristiana. Andando avanti, proprio rimanendo su un piano culturale e scientifico, perché avallare la dicitura “aborto terapeutico” nei confronti di bimbi malformati? Aborto terapeutico è quello che si pratica per salvare la mamma, e oggi non succede praticamente più: quello praticato tutti i giorni è l’aborto eugenetico per eliminare nel grembo materno un bimbo con problemi di salute, più o meno curabili, più o meno “accettabili”. Il medico mai dovrebbe accettare il falso postulato che l’embrione non sia un essere umano, fin dal concepimento: qui è in gioco la scienza, non la morale. Embrioni siamo stati tutti noi, l’embrione è uno di noi, umani, non certo “un grumo di cellule”, o un essere solo “in potenza”, o dipendente, come del resto il feto fino al momento di nascere, e il lattante e bimbo, dipendenti per molti mesi. Penso che a ogni medico, non solo ostetrico, sarà presto chiesto conto di ciò che ha fatto per la difesa della vita, me compreso. «A chi può essere dotto, non può essere perdonato di non esserlo» diceva san Josemaria Escrivá. La difesa della vita è il primo compito del medico: affermare, come diceva s. Madre Teresa di Calcutta, la sacralità, la vera Giustizia per il dono di Dio più grande.
Franco Rotundi