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Il vescovo risponde

Ma che cos’è il sacerdozio battesimale?

Caro Vescovo,
io cerco sempre di ascoltarla e di seguirla: a volte faccio un po’ fatica, ma vorrei davvero comprendere a fondo quello che lei dice nelle sue omelie perché mi sembra che mi indichi la strada del bene. Spesso lei cita il sacerdozio battesimale: lei dice che attraverso l’esercizio di questo sacerdozio riusciamo a regnare nelle fatiche. Mi spiega per favore che cosa è questo sacerdozio battesimale e come faccio concretamente a riempire le mie sofferenze di amore?

Grazie, Mimmo

Caro Mimmo,
la tua domanda mi ha fatto riflettere tantissimo e mi ha fatto guardare con molta attenzione al Nuovo Testamento. Nel quale in realtà di sacerdozio non si parla poi tantissimo, perché i riferimenti nei Vangeli sono riferimenti dell’Antico Testamento, in ogni caso si parla dei capi dei sacerdoti. Per quanto riguarda invece la parte che ci tocca di più, il Nuovo Testamento, e quindi quello che Gesù vuole impostare, c’è una lunga trattazione nella lettera agli Ebrei a proposito del sacerdozio di Cristo, che non è il sacerdozio dei fedeli, ovviamente. Poi ci sono solo quattro versetti, due della lettera di Pietro e due dell’Apocalisse che parlano esplicitamente del sacerdozio. Anche se nell’Apocalisse non si dice con chiarezza in cosa consista questo sacerdozio. Però ci sono altri indizi. C’è il concetto di offerta e di sacrificio: viene detto che noi dobbiamo guardare a Gesù e fare come Lui. Gesù, che ci ha amato e ha dato la vita per noi, che ci ha riscattati con il suo sangue. Ebbene, mettendo insieme tutti questi concetti uno accanto all’altro come in una specie di puzzle, effettivamente si arriva a comprendere che l’unica risposta che noi possiamo dare a questo mondo privo di senso, in cui apparentemente il male trionfa, è la stessa risposta di Cristo. Che, anziché vincere gli elementi del mondo, anziché uscirne da vincitore incontrastato e palese ne è uscito da apparente sconfitto, occupandosi soltanto di amare fortemente, fino alla morte, senza curarsi di “averla vinta” umanamente. E anche a noi ha detto di fare così: «Chi vuole venire dietro a me, rinneghi sé stesso (rinnegare sé stessi vuol dire “accettare di non averla vinta” umanamente), prenda la sua croce ogni giorno e mi segua». Il programma è molto chiaro: l’offerta amorosa delle proprie croci, delle proprie fatiche, difficoltà, sconfitte e problemi. Questo è l’esercizio del sacerdozio a immagine di Cristo. Quando noi riusciamo a esercitarlo (e ricordo che l’esercizio di questo sacerdozio ha una dimensione ecclesiale intrinseca), ebbene la vita cambia decisamente: la viviamo in modo molto più sereno. Spero di averti dato una risposta più precisa e spero che tu possa sperimentare e mettere in pratica queste cose, perché l’unico modo per capirle è provarci. Buona giornata!

Il centuplo quaggiù che cosa sarebbe?

La vittoria di Cristo ci insegna che si, ha vinto la morte, eppure non è cambiato nulla: il male, la sofferenza, la povertà sono rimaste su questa terra. Mi verrebbe da pensare che in fondo anche la nostra vita sarà un po’ così: vivere con amore in mezzo alla carestia, in mezzo alle sofferenze cercando di portare una gioia che è molto più forte delle difficoltà, ma che non ci appartiene per natura. Eppure Dio ha promesso “il centuplo quaggiù”: quaggiù non nel regno eterno, ma qui e ora. Ma io mi chiedo: in che cosa consiste? Dove sta il centuplo? Come lo riconosco?

Grazie, Virginia

Carissima Virginia,
messa così come la presenti sembrerebbe che la vita cristiana non possa offrire altro che problemi, da affrontare con amore. Non è poi così attraente! Ti devo dare una buona notizia, che è la seguente: la gioia ci appartiene per natura. Poi a causa del peccato non riusciamo a vivere definitivamente in questo stato di gioia. Per cui il Signore ha stabilito che noi possiamo vivere nella gioia e nella pace, almeno interiore, attraverso l’esercizio del sacerdozio battesimale, che è quello che fa si che l’amore “irrori” i miei problemi, le mie sofferenze, le mie difficoltà e le fatiche in modo tale che io riesca a regnare in esse. Così si vince il male, almeno spiritualmente. E questa vittoria sul Maligno dona una pace interiore molto particolare, che è vera gioia. E’ veramente qualcosa per cui tu provi l’esperienza del centuplo quaggiù. Per cui questo centuplo è qualcosa che ci è dato, ha un senso spirituale: non è che quaggiù tutto vada a posto senza nessun problema nell’ordine materiale. Ma spiritualmente è certo che per ogni cosa che ho lasciato mi arriva il centuplo. Per cui, abbi la pazienza di credere nel Signore e di offrire la tua vita con amore e vedrai che per ogni cosa che tu lasci in questa offerta, otterrai il famoso centuplo.
Ti auguro di poterlo sperimentare. A riconoscerlo non avrai problemi, perché sarà evidente!

Tenere sempre vivo l’amore di Cristo

Caro Vescovo, ho letto in una sua intervista relativa alla sua lettera pastorale questo passaggio: «Attraverso l’amore dell’Agnello noi possiamo regnare con Cristo già in questo mondo, pur sembrando sconfitti, e diventare intangibili dal Male, ma solo quando in noi abita l’amore di Cristo. Per fare questo dobbiamo essere segnati con il sigillo dell’Agnello sulla fronte, che riversa in noi lo Spirito Santo che ci viene donato: l’amore di Cristo. E questo è il senso del Battesimo e della Cresima». Volevo chiederle due cose. La prima: lei crede davvero che con il battesimo basta fare un segno sulla fronte di un bambino con l’olio profumato e da lì passa lo Spirito Santo? La seconda: una volta che ci è stato donato lo Spirito Santo, per “tenere vivo” questo amore di Cristo in noi cosa dobbiamo fare? Tanta gente è stata battezzata ma non credo che ravvivi questo fuoco quotidianamente…

Grazie, Franco

Caro Franco,
io credo veramente che attraverso dei segni visibili, che sono i sacramenti, ci vengano date delle grazie e dei doni speciali. Questo credo che sia un aspetto sul quale il Signore ha insistito, soprattutto attraverso l’Eucaristia. Quando ha parlato di questo sacramento, il Signore Gesù ci ha voluto ricordare che veramente chi mangia la sua carne e beve il suo sangue ha la vita eterna. Ma quando ha fatto quel discorso, l’ha fatto prima di aver istituito l’Eucaristia e nessuno lo poteva capire. Eppure l’ha fatto e la gente se n’è andata, come a dire: se uno vuol venirmi dietro, deve venire perché crede, non perché gli ho fatto un bel discorsino che lo ha portato a pensar “eh si è proprio vero!”. Per cui il Signore a noi chiede l’adesione della fede. Poi non manca, dopo, di darci i segni del fatto che effettivamente il cammino di fede è un cammino reale che fa compiere passi reali. Quindi, credo che attraverso l’unzione sulla fronte con l’olio profumato, il Crisma, passi lo Spirito Santo. Secondo punto: il modo per coltivare questo dono dello Spirito Santo che ci è stato fatto, per tenerlo vivo, per rinnovarlo, è quello della vita di comunità, attraverso la quale lo Spirito Santo è donato in maniera “ordinaria”. Non affrontare una vita di comunità vera significa non ottenere in modo ordinario il dono dello Spirito, che, ricordiamolo, è stato riversato su una comunità riunita in preghiera ed è un dono non semplicemente personale ma comunitario. Poi, i singoli membri della comunità fanno uso di questa grazia nelle loro vite, ma è un dono che ha una caratteristica essenzialmente comunitaria, cioè ecclesiale. Quindi, per ravvivarlo bisogna vivere in modo attivo una vita di comunità basata sulle quattro perseveranze: nell’insegnamento degli apostoli, nella comunione, nello spezzare il pane (l’Eucaristia) e nelle preghiere. Auguri di buon cammino!

Una bussola in un tempo di incertezze

Come orientare il nostro agire in un tempo in cui non sappiamo se domani avremo la febbre e se potremo uscire di casa? Come combattere la paura di un nuovo lockdown? Che differenza fa essere o non essere cristiani in questo periodo? Lo abbiamo chiesto al nostro Vescovo.

Caro Vescovo,
Vorrei un aiuto da lei per capire come vivere da cristiani questo tempo di pandemia che ancora ci troviamo ad attraversare, che cosa chiedere al Signore nella preghiera. Cerchiamo di comportarci come se dovessimo ripartire con la programmazione di iniziative sia sul lavoro che nel volontariato, ma basta la comparsa di sintomi influenzali in noi o nei figli per bloccarci a casa e scatenare la burocrazia e l’attesa (medici, tamponi, quarantene preventive). Tutto giusto è comprensibile data la situazione attuale e quello che abbiamo visto nei mesi scorsi, ma come vivere da cristiani questa incertezza? Cosa chiedere a Dio?

Grazie, Carla

Cara Carla,
paradossalmente, vivere da cristiani questa incertezza è molto più facile che viverlo da non cristiani. Perché proprio in questa incertezza noi esercitiamo quello che è proprio della nostra fede cristiana, ovvero l’abbandono fiducioso ad un Dio che ci ama. Nella misura in cui ci rendiamo conto che Dio ci ama e che vuole il nostro bene, noi ci abbandoniamo fiduciosamente a lui e riusciamo a vivere le incertezze con molta serenità perché sappiamo che ogni istante della nostra giornata è abitato da una presenza, quella di Dio. Questa presenza ci aiuta, non come talismano o in un senso scaramantico per cui non ci fa accadere nulla di negativo ma nel senso che lui è l’unico in grado di dare senso a qualunque evento della nostra giornata. Allora auguroni di buon abbandono a Dio, cara Carla!».

Come “stare” davanti ai problemi?

Caro Vescovo, lei spesso ci ricorda di abbandonarci fiduciosamente nelle mani del Signore, di avere fede nel suo piano di felicità per noi. Solo che a volte vedo persone anche molto buone investite non solo dalle quotidiane difficoltà della vita (qualche malattia, difficoltà sul lavoro, cose normali) ma proprio con grandi sfortune, di cui non mi capacito. Per esempio una mia cara amica con grave malattia che non riesce ad avere figli e ha pure perso tanti parenti per il Covid-19. Non riesco a darmi pace, non so cosa dirle. Mi può aiutare?

Grazie, Damiana

«Carissima, questa è una domanda veramente centrale per la nostra vita, a cui non è facile rispondere in modo immediato. Tuttavia, voglio fare alcune considerazioni. La prima è che nel mondo ci sono i problemi: Dio ha stabilito di non eliminare le difficoltà dal mondo ma di insegnarci a conviverci. Gesù Cristo non è venuto a togliere gli ostacoli dalla terra ma si è inserito in questo mondo con i suoi problemi, subendoli: una cosa veramente stranissima! Lui è letteralmente morto di problemi, e problemi brutti come l’odio, la cattiveria, l’uccisione per tortura: situazioni veramente pesanti per una persona che è innocente. Quindi, punto primo: questi problemi fanno parte del mondo e noi cristiani non possiamo purtroppo toglierli o eliminarli, non più di altri. Secondo punto, Dio ha stabilito che ognuno possa vivere di fronte a questi problemi in tanti modi diversi, in modo libero. Ciascuno di noi deve fare una scelta su come vivere questi problemi. Gesù ci ha proposto un modo: amare radicalmente. E con questo amore, santificare i problemi. Noi possiamo scegliere se vivere le fatiche del nostro mondo in questo modo, oppure no. Quando ci mettiamo vicini agli altri, io credo che la prima cosa da fare sia quella di amarli in modo incondizionato e profondo. Quando noi acquisiamo la nostra capacità di vivere la nostra vita affrontando i problemi amando in modo incondizionato e profondo, è probabile che poi sia la gente a chiederci: “Ma come mai tu sei così sereno? Perché noi hai problemi?”. Dopo poco si accorgono che anche noi viviamo le fatiche, come tutti, e si può aprire un dialogo. San Pietro sintetizzava tutto questo dicendo: “Siate sempre pronti a rendere conto della speranza che è in voi”. Spero di esserti stato d’aiuto, buona giornata!».

Il nostro impegno nella Chiesa e nel mondo

Caro Vescovo, vorrei farle una domanda sul punto 6 della lettera pastorale, “Il senso spirituale della storia” a pagina 8. «Il nostro impegno nella Chiesa non può essere volto a mettere ordine nella storia, o nella nostra città, come se portassimo avanti un progetto politico, sociale o caritatevole, e neppure a separare i buoni dai cattivi: dobbiamo avere la pazienza di attendere e di guardare in maniera differente il rapporto con il male, dando una lettura che contempli anche il versante spirituale del male e del bene». Leggendo queste righe mi viene da chiederle: Non è un po’ un disimpegnarsi? Non è come dire: “Ci penserà il Signore a mettere ordine, io mi faccio i fatti miei”? Le chiedo questo perché io con i miei figli mi comporto diversamente: a scuola o nel gruppo che frequentano, cerco di spiegare loro dove si trova il grano e dove la zizzania. Vorrei che mi rispondesse su questo punto: a noi cosa è chiesto nel concreto, in famiglia ma anche sul lavoro, con i colleghi? Mi sembra che il Signore ci abbia affidato delle famiglie e dei progetti: come dobbiamo trattarli alla luce di tutto questo?

Grazie, Andrea

Caro Andrea,
come sta scritto nella Lettera pastorale, in realtà non si tratta di un disimpegno, perché mentre la scrivevo mi chiedevo: qual è la modalità attraverso la quale Cristo ha vinto il male, e anche noi nel mondo, associandoci a Cristo lo possiamo vincere? Quindi io sto dicendo che nel mondo il male lo vinciamo: la risposta a questa domanda è l’amore. Vuol dire che di fronte alla realtà in cui vivo io sono chiamato prima di tutto ad amare. Non è tanto una questione di cosa fare. È interessante notare come nel Nuovo Testamento diverse volte ci sia questa domanda, “Cosa dobbiamo fare?”. La fanno a Gesù prima del discorso del pane di vita, anzi lo origina praticamente questa domanda. La fanno a Pietro il giorno di Pentecoste quando comincia la sua predicazione: “Che cosa dobbiamo fare?”. Il punto non è fare ma è amare. Amare poi significa concretamente fare, ma è molto impegnativo, anzi è molto più impegnativo che fare. Perché amare comprende anche sempre un fare. Ma non tutti i fare sono amare. Qui sta la vera differenza, qui sta la vera difficoltà della vita cristiana. L’amore che dobbiamo profondere noi in realtà è l’amore dell’Agnello, ma questo poi è scritto al punto seguente della Lettera pastorale. Auguri per riuscire ad amare e a impegnarti nel concreto con i figli, sul lavoro, con i colleghi. Ama!

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redazione@lavocealessandrina.it.

Leggi anche le interviste a monsignor Gallese:

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