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Se mio figlio non gioca mai da solo… /2

La pediatra Sabrina Camilli

Nello scorso numero la nostra pediatra Sabrina Camilli ha iniziato a rispondere a una mail arrivata in redazione: «Mio figlio di 4 anni non gioca mai da solo: chiede sempre a noi genitori di fare qualche attività assieme a lui, con il risultato che io e suo padre non riusciamo a combinare niente in casa. Come possiamo insegnargli a giocare da solo? Se non si concentra sui giochi, avrà qualche deficit di attenzione?» scrive un genitore. «Ogni bambino ha le sue peculiarità, che nascono da fattori costituzionali e da fattori ambientali» così ha iniziato a rispondere la dottoressa Camilli: «Mi spiego meglio: un bambino può nascere con gli occhi scuri, per esempio, ma anche con un fisico più forte rispetto a un altro, che invece potrebbe avere gli occhi chiari e una maggiore tendenza ad ammalarsi. Si possono quindi ereditare tratti sia fisici che caratteriali (legati al temperamento)».

Dottoressa, come influiscono le costituzioni dei due bambini descritti all’inizio nel loro comportamento?
«Sicuramente la costituzione c’entra: il primo bambino probabilmente ha una costituzione “nervosa”(o biliare, secondo l’omeopatia classica): sarà quindi un piccolo leader, che cerca di attirare l’attenzione su di sé. Il bimbo più autonomo in genere è un tipo flemmatico e tranquillo, il classico bimbo che “dove lo metti sta” e che gioca da solo. La richiesta di attenzione nel bambino che reclama e pretende compagnia è d’altronde un diritto, perché da una parte, così facendo socializza e dall’altra impara a relazionarsi. Teniamo conto che fino ai 2 anni il bambino è comunque egocentrico per natura. Dopo i 3 anni il bimbo tende invece a ricercare una propria autonomia: ed è proprio allora che bisogna aiutarlo ad ottenerla».

E nel nostro caso del bambino di quattro anni?
«Venendo al nostro caso, è normale che il vostro bimbo, specie se figlio unico richieda la vostra attenzione di adulti, perché a questo si è abituato. Sarebbe utile che potesse imparare a giocare più con il papà, per non avere un atteggiamento troppo possessivo con la madre. L’ideale sarebbe anche spronarlo a giocare da solo in alcuni momenti, per imparare a mettersi alla prova e poi dargli dei piccoli premi e gratificazioni. Un esempio? Un “abbraccio speciale” o la possibilità di aiutare la mamma e il papà in “una cosa difficile da grandi” come mettere in tavola i cucchiai. Può essere utile la somministrazione di un fiore di Bach quale Heather, quando si ha paura della solitudine e non si vuole stare soli».

E sul tema del deficit dell’attenzione, cosa possiamo rispondere ai genitori?
«Non penso sia una manifestazione del deficit di attenzione, ma ne potete parlare con le insegnanti della scuola materna se la frequenta e chiedere come si comporta in aula. Altrimenti osservatelo mentre gioca e vedete se riesce a portare a termine ciò che inizia o se invece smette dopo poco. Concludo con questa frase di uno dei miei Santi preferiti, San Francesco di Sales, per affrontare efficacemente il tema dell’educazione: “Ciò di cui abbiamo bisogno è una tazza di comprensione, un barile di amore e un oceano di pazienza”».

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