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Se mio figlio non gioca mai da solo…

La pediatra Sabrina Camilli

Ecco una mail che ci è arrivata in redazione per la nostra pediatra Sabrina Camilli. Dopo la bambina con tampone positivo, e il bambino e il nonno che non si possono vedere per le precauzioni anti-Covid, abbiamo un bimbo di 4 anni che reclama sempre la presenza dei genitori per giocare.

Lasciamo che sia direttamente il genitore a raccontare la sua situazione e leggiamo di seguito i consigli della nostra dottoressa di fiducia: «Mio figlio di 4 anni non gioca mai da solo: chiede sempre a noi genitori di fare qualche attività assieme a lui, con il risultato che io e suo padre non riusciamo a combinare niente in casa. Come possiamo insegnargli a giocare da solo? Se non si concentra sui giochi, avrà qualche deficit di attenzione? Grazie mille».

«Ogni bambino ha le sue peculiarità, che nascono da fattori costituzionali e da fattori ambientali», illustra la dottoressa Camilli. «Mi spiego meglio: un bambino può nascere con gli occhi scuri, per esempio, ma anche con un fisico più forte rispetto ad un altro, che invece potrebbe avere gli occhi chiari ed una maggiore tendenza ad ammalarsi. Si possono quindi ereditare tratti sia fisici che caratteriali (legati al temperamento). In questi bambini però intervengono anche fattori esterni legati all’ambiente in cui vivono e alle persone con cui crescono e apprendono (quella che oggi modernamente si chiama “Epigenetica”)».

Dottoressa, può spiegarci meglio questi “fattori esterni” di cui ha accennato?
«Se sin da piccolo appena il bimbo manifesta una necessità piangendo, gli adulti intorno a lui accorrono e lo accudiscono, in lui si rafforzerà l’idea che gli altri sono presenti e pronti al suo servizio. Il messaggio che passa è: non preoccuparti, non piangere, noi ci siamo ed esaudiamo ogni tuo desiderio così che tu non possa fare a meno di noi. Se viceversa il bimbo piange e la mamma cerca di consolarlo senza viziarlo, evitando che si crei un circolo vizioso di continue richieste e accudimento, il bimbo crescerà imparando ad affrontare le frustrazioni e i momenti di “solitudine”. Il messaggio che mandiamo in questo caso è il seguente: “Io ci sono, sono presente e ti aiuto nel caso tu non ce la faccia da solo”».

[continua sul prossimo numero]

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