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Fare memoria anche per i sopravvissuti

Il dovere di non dimenticare

Con la recente scomparsa di Nero Fiano e Piero Terracina, sono dodici i sopravvissuti italiani della Shoah ancora in vita: tra loro la poetessa Edith Bruck, Andra e Tatiana Bucci, la senatrice Liliana Segre, Samuel (Sami) Modiano. Sono loro che simbolicamente hanno promosso la conoscenza dello sterminio presso le generazioni più giovani. La loro narrazione si accompagna all’indagine storica, con iniziative atte a ricostruire i fatti nel modo più oggettivo e verificabile possibile, attraverso l’uso dei documenti e di procedure. Nemmeno la storia è esente da errori, dimenticanze e reticenze ma il metodo storiografico nasce proprio per limitare gli usi più strumentali e, ripeto, è verificabile attraverso i documenti.

Le cerimonie pubbliche si sono basate sulla presenza e sulla valorizzazione dei testimoni, e sulla continuità con loro attraverso pratiche di conservazione e di immedesimazione, nel momento in cui la memoria dei testimoni inizia inevitabilmente a offuscarsi a causa dell’età; abbiamo visto ministri di ogni orientamento politico visitare i campi di concentramento e assumere così una patente di antirazzismo pubblico.

Lo stesso accade con film e spettacoli a tema, che dopo un’iniziale diffidenza da parte dei testimoni (per esempio Wiesel, e Lanzmann, che con il suo monumentale Shoah – a lato, un fotogramma, ndr – è diventato una sorta di paradigma di ciò che è consentito) hanno costituito l’espressione più diffusa di esperienza condivisa , con tutto quello che consegue: dall’irrappresentabilità della Shoah teorizzata da Adorno a film premio Oscar di immensa popolarità come Schindler’s List. Queste opere propongono un processo di immedesimazione con le vittime, come le letture, i viaggi della memoria, le cerimonie pubbliche in cui vengono letti i nomi dei deportati, deposte corone di fiori, ascoltati discorsi in cui solennemente ci si ripromette che tutto ciò non accadrà mai più.

Eppure tutto questo non ha evitato il proliferare di episodi, soprattutto in rete, di insofferenza verso tutto questo. L’esempio più evidente del distacco tra il dovere della memoria e i suoi effetti perversi è rappresentato dal negazionismo. Con la necessità di ricacciare ai margini chi negava l’esistenza e l’ampiezza delle camere a gas, dal 1990 ad oggi, quasi tutti i paesi europei compresa l’Italia, si sono dotati di normative che puniscono penalmente coloro che negano la Shoah. Quasi nessuna di queste normative ha evitato tuttavia il proliferare di movimenti e opinioni apertamente antisemite. Non solo, ma in quei paesi dove maggiori sono state le politiche della memoria e dove la negazione di esse costituisce non soltanto un’offesa morale, ma anche un reato penalmente perseguibile, il razzismo, l’intolleranza, l’antisemitismo sono cresciuti e si sono diffusi attraverso i social network, i siti internet, le chat.


Le ragioni di questo vanno cercate, certamente, nella mutata situazione politica rispetto al secolo scorso, nelle questioni economiche e sociali, nella marginalizzazione di vasti strati di popolazione in tutta Europa. È facile nelle situazioni di crisi, a cui quest’anno si è aggiunta anche la pandemia, cercare un facile ed immediato capro espiatorio, affidarsi all’idea di complotti sotterranei da parte di misteriose corporazioni o deep state. Come cittadini, prima ancora che come studiosi della storia contemporanea, dobbiamo vigilare: l’elusione dei diritti, la ricerca di un capro espiatorio, il rifiuto del diverso sono malattie che ancora possono contagiare il nostro paese e l’Europa. Il Giorno della Memoria è anche una assunzione di responsabilità, sia per il passato (quanti Italiani hanno collaborato con la deportazione!), sia per il futuro: lo dobbiamo ai dodici ancora in vita e a tutti quelli che hanno testimoniato.

Antonella Ferraris
responsabile didattica Isral

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