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Il male oscuro dell’Alessandria

“La testa e la pancia” di Silvio Bolloli

Riallacciando i fili del discorso della scorsa settimana, l’Alessandria Calcio resta un mistero sempre più fitto, verrebbe da dire uno dei più grandi misteri del calcio della sua categoria degli ultimi anni: no, non è la trama di un romanzo giallo di Serie B ma la pura verità di una società retta da un presidente munifico, pieno di entusiasmo e passione, che le ha veramente provate tutte, ma proprio tutte, e non è riuscito a centrare quello che era il suo obiettivo.

Premetto subito una cosa: la carta magica che pare sfuggita a Di Masi non esiste proprio perché, come abbiamo raccontato la volta precedente, il nostro ha provato qualunque soluzione, affidandosi ora all’esperienza ora alla novità, ora alla qualità ora alla gioventù rastrellando, di volta in volta, il meglio che il mercato offriva oppure andando alla ricerca di talenti inesplorati con la speranza che il campo avrebbe premiato la scommessa. Anche quando ci era parso di individuare, quale unica lacuna della sua gestione, la mancanza di continuità, il patron ha risposto iniziando la stagione con lo stesso allenatore e lo stesso direttore sportivo con cui aveva terminato la precedente, con il risultato che nulla è cambiato e che la prospettiva resta quella di un altro campionato da comprimari in cui si da l’appuntamento alla stagione successiva.

L’istinto pagano può portare a pensare a strane macumbe o a forme di energia negativa (tipo Triangolo delle Bermuda) che congiurano affinché la maglia grigia, di riffa o di raffa, non riesca proprio a vincerlo questo benedetto campionato di Serie C, ma la razionalità porta a scacciare simili fantasmi e a cercare spiegazioni più logiche e, alla fine dei conti, convincenti. Ecco allora che vien da pensare che forse Di Masi non ha lasciato adeguata carta bianca ai suoi collaboratori, che forse non ha consentito loro di esprimere il proprio talento in completa autonomia (salvo poi rendere il conto della gestione alla fine dell’anno) ma, a ben guardare, non vi è la prova di ciò, e quindi, a voler sostenere simili asserti, si finisce con il restare nel campo delle mere allusioni.

Se Di Masi non ha dunque voluto mettere lo zampino in tutte le scelte effettuate dai suoi dirigenti, ma ha semplicemente finito con il dannarsi l’anima senza ottenere la promozione, resta una sola possibile risposta: occorre continuare ad insistere e sperare che la perseveranza venga premiata dalla vittoria prima di essere vinta dallo sconforto.

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