Collegio Santa Chiara
«Io ho sempre pensato che l’essere umano non è fatto per stare da solo ma per vivere con gli altri: ricreare il senso di comunità tra le persone, non discriminare e aiutarsi vicendevolmente mi fa stare meglio». Alba Istrefi (nella foto qui sotto) ha 19 anni e dall’esperienza fatta in Caritas grazie al Collegio Santa Chiara si porta a casa una consapevolezza ritrovata sul tema dell’importanza di aprirsi al prossimo, non solo per fare del bene agli altri, ma anche per crescere. Alba viene da Chiari in provincia di Brescia: frequenta il primo anno di Scienze biologiche e risiede al Santa Chiara. Come molti altri studenti, il 3 aprile scorso è andata a fare servizio alla mensa dei poveri insieme alla direttrice Carlotta Testa e ad alcuni suoi compagni di Collegio. Le abbiamo chiesto di raccontarci questa esperienza dal suo punto di vista.
Alba, facciamo un passo indietro: come sei arrivata al Collegio Santa Chiara?
«Ho trovato la struttura dal gruppo Telegram del corso di Scienze biologiche: l’ho scelta di comune accordo con i miei genitori perché entrambi l’abbiamo trovata più sicura rispetto al vivere in appartamento. Sono qui da gennaio e mi sto trovando molto bene, tanto che ho deciso di passare diversi weekend ad Alessandria senza far ritorno a casa. Alloggio in una stanza doppia e sono molto felice di questa scelta: la mia compagna di camera, al primo anno della laurea magistrale in biologia ad indirizzo biomedico-molecolare, è arrivata un giorno prima di me e ci siamo ambientate insieme».
Che cosa apprezzi in particolare della vita in Collegio?
«Mi piace il fatto che gestiamo la giornata in modo autonomo, ma condividiamo tanto, dalla cucina alle chiacchiere in cortile. Ero abituata dopo due anni di pandemia a uscire poco: ora passo tanto tempo con i miei coetanei. Carlotta ci aiuta molto: possiamo contare sempre su di lei».
Avevi mai fatto volontariato prima?
«Avevo già fatto due esperienze in passato. La prima in seconda liceo: nell’ambito di un progetto gestito dalla nostra scuola, andavamo nell’oratorio del paese ad aiutare i ragazzi delle medie e i bambini delle elementari a fare i compiti. La seconda l’ho fatta in estate come animatrice, sempre all’oratorio di Chiari, assieme ai bambini tra i sei e i dodici anni. Io non sono credente ma devo ammettere che in questo contesto sono stata molto bene: mi sono sentita accolta e ho trovato estremamente condivisibili i valori che venivano trasmessi ai partecipanti. Questa è la prima attività di servizio al prossimo con gli adulti».
Qual è stato per te l’aspetto più bello di questa esperienza?
«Mi è piaciuto il fatto che “noi collegiali” siamo andati tutti insieme, abbiamo collaborato per questo progetto e siamo riusciti a fare squadra per aiutare il prossimo in Caritas. Un conto è avere un valore in comune in astratto o “sulla carta”, un altro è proprio darsi da fare concretamente insieme in un contesto reale».
C’è qualcosa che ti ha colpito in particolare?
«Non mi aspettavo il fatto che le persone che sono venute a ritirare i pasti fossero prevalentemente di sesso maschile: gli uomini si sono accomodati nel salone a mangiare, mentre le donne andavano a consumare il pasto a casa. Tutte tranne una, che si è seduta al tavolo ma non si avvicinava al cibo. Ci siamo accostate a lei noi ragazze, per chiederle se il cibo fosse di suo gradimento. Lei ci ha raccontato che veniva dall’Ucraina: la sua storia mi ha colpita nel profondo, perché mentre la guerra è in corso sui giornali e in tv io mi sono trovata davanti una persona vera. Mi è venuto d’istinto di aiutarla come potevo: ho provato una forte compassione per lei».
Che cosa ti sembra di aver imparato per la tua vita di bello e utile?
«Ho imparato che non bisogna mai smettere di aiutare il prossimo perché oltre che far bene all’altra persona, ogni volta che faccio volontariato mi sento molto meglio con me stessa, mi appaga».
Tornerai?
«Sì, assolutamente, con i miei compagni di Collegio: mi pare che anche gli altri ragazzi siano stati molto contenti. Le prossime occasioni, oltre che preparare i sacchetti vorremmo anche cucinare proprio noi, per entrare così molto di più nel progetto».
Zelia Pastore
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