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Quaresima: gli studenti alla mensa dei poveri in Caritas

Collegio Santa Chiara

«Il servizio alla mensa dei poveri è stata probabilmente la proposta per la Quaresima più riuscita in termini di partecipazione»: non ha dubbi Carlotta Testa, direttrice del Santa Chiara. Per i ragazzi residenti in Collegio è stato pensato un percorso di avvicinamento alla Pasqua (dall’evocativo titolo “Quaranta giorni”) in tre tappe: l’offerta della parola, l’adorazione eucaristica (che vi abbiamo raccontato dalle pagine degli scorsi numeri di Voce) e il servizio ai poveri, che si è svolto domenica 3 aprile appunto in Caritas. Gli studenti in quella giornata hanno dato una mano per preparare tutto l’occorrente per la cena degli ospiti. Ci siamo fatti raccontare come si è svolta la giornata e cosa questo momento ha lasciato in chi ha preso parte all’esperienza.

Carlotta, chi ha partecipato a questa proposta?

«Hanno aderito 15 giovani: un buon numero per un’attività domenicale, tenendo conto che molti di loro rientrano a casa nel weekend. Rispetto agli appuntamenti precedenti, questa tappa del percorso “Quaranta giorni” li ha visti subito coinvolti e pronti a mettersi a disposizione del prossimo».

Come si è svolta la giornata?

«Siamo arrivati nel primo pomeriggio: i volontari ci hanno mostrato la sede della Caritas diocesana, spiegandoci tutte quelle che sono le loro attività, al di là della mensa per i poveri. Credo che anche questa parte sia stata interessante: nei giorni a seguire infatti alcune studentesse si sono informate su come donare i vestiti al guardaroba mentre altri mi hanno chiesto dettagli sul servizio ambulatoriale, cercando di capire se fosse possibile per gli studenti di infermieristica del Collegio dare una mano in quell’ambito. Finito il giro, siamo andati nei locali dove si svolge il servizio mensa per i poveri e abbiamo aiutato di fatto a preparare i sacchetti dove viene servito il pasto caldo: assieme alle pietanze messe a disposizione dai volontari Caritas, abbiamo porzionato delle crostate portate da noi in modo che tutti avessero un dolce. C’è poi una sala dove chi desidera può sedersi per consumare le pietanze: l’abbiamo pulita e resa accogliente, pronta per l’arrivo degli ospiti».

Cosa ti ha colpito?

«Innanzitutto come nel servizio emergano anche le diverse personalità. Ci siamo divisi in due gruppi: alcuni stavano nella sala dove i poveri avrebbero mangiato e quindi le mansioni prevedevano igienizzare i tavoli, misurare la febbre ma anche parlare con chi arriva, far sentire gli ospiti accolti. Il secondo gruppo invece stava “dietro le quinte” a preparare i pasti a dare i sacchetti: questo già dice qualcosa della sensibilità delle persone. Io sono stata con i ragazzi in sala dove pulivamo ma facevamo anche compagnia ai presenti».

C’è un episodio che vuoi raccontarci?

«Ce ne sono stati molti, ma ne voglio condividere uno in particolare: una signora che aveva ritirato il pasto si è seduta in sala ma abbiamo visto che non apriva il sacchetto e non si accingeva a mangiare: aveva un’espressione triste. Le nostre studentesse si sono avvicinate a lei per capire come esserle d’aiuto: la donna ci ha mostrato il suo passaporto ucraino e ci ha raccontato la sua storia. Era venuta in Italia da Odessa, si era trasferita già prima della guerra ma aveva molti amici e parenti ancora lì: era molto preoccupata per la loro vita e il loro futuro. Mi ha colpito molto la dolcezza con cui le ragazze hanno cercato di farla parlare, di essere di compagnia, di alleviare in qualche modo la sua pena».

Qualche ragazzo ti ha detto qualcosa di particolare?

«Ho spesso a che fare con i giovani e mi sono resa conto che, soprattutto con le ultime generazioni, è molto difficile avere “commenti a caldo”, grandi entusiasmi o forti lamentele. Mi ha però colpito che, di fronte alla richiesta dei volontari della Caritas di tornare nuovamente a fare servizio, tutti i ragazzi si sono dati disponibili. Anzi, tornando in Collegio devono aver chiacchierato tra loro e altri ragazzi che non hanno partecipato mi hanno chiesto di poter venire la prossima volta. Tutto questo mi fa pensare che quel pomeriggio in cui paradossalmente non abbiamo messo in piedi opere straordinarie ma ci siamo dati semplicemente disponibili per il prossimo, abbia lasciato qualcosa di profondo nei partecipanti, tanto da suscitare in loro il desiderio di tornare».

Zelia Pastore

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