Collegio Santa Chiara
«Recentemente ho fallito. Nel mezzo del cammino di questo fallimento che ho attraversato, mi è servito ripensare all’incontro di Collegio in cui abbiamo parlato proprio di questo tema: ho capito che quando si fallisce, si ha anche l’occasione di rinascere». Roberto Ferruggia (nella foto qui sotto) ha 19 anni e studia Scienze Biologiche all’Università degli Studi del Piemonte Orientale: è originario di Casale Monferrato e attualmente risiede al Collegio Santa Chiara. Ci siamo fatti raccontare la vita all’interno del Collegio dal suo punto di vista e cosa gli è rimasto impresso dell’incontro “Cosa accade prima e dopo un fallimento?” che fa parte del ciclo “Non essere qui senza esserci” organizzato dall’équipe educativa del Collegio, dove il relatore era Enzo Governale.
Roberto, partiamo dalle origini: da quanto sei in Collegio e perché l’hai scelto?
«Sono al Santa Chiara dal novembre 2021: ho deciso di vivere qui, nonostante avessi trovato inizialmente un’altra sistemazione, perché mi piace molto stare in compagnia e al Santa Chiara c’è sempre qualcuno con cui fare due parole. Io ho proprio bisogno di stare in mezzo alla gente: faccio volontariato alla Croce Rossa e tante altre attività proprio perché mi piace conoscere e confrontarmi. Sono venuto a conoscenza di questa struttura grazie a Beatrice e Francesca, due mie compagne dell’Università: da come me lo descrivevano, mi era sembrato un posto bello dove stare. Ho telefonato e fortunatamente ho trovato subito una stanza libera».
Che cosa ti piace della vita in Collegio?
«Anzitutto la struttura è molto bella, ristrutturata bene e arredata con cura, mille spanne sopra le catapecchie arredate in stile Anni 90 che mi hanno proposto precedentemente in affitto! Il fatto che l’estetica sia gradevole fa sentire i giovani a casa, è proprio un posto adatto ai ragazzi della nostra età. La vita qui è bella perché non è mai monotona: sia nel bene che nel male».
Che cosa intendi? Ci faresti degli esempi tratti dalla tua quotidianità?
«È bello fare le feste di compleanno insieme o decidere che una sera vogliamo mangiare tutti nel porticato e mettersi a preparare la tavola come se fossimo in una grande famiglia. Ovviamente non è tutto rose e fiori: a volte mi capita di tornare stremato dall’Università e desiderare solo un po’ di pace e invece mi trovo la cucina piena di gente che schiamazza. Se avessi preso un monolocale questo ovviamente non sarebbe successo: gli attriti ci sono ma io li trovo costruttivi perché ti preparano alla vita. Mi piace anche molto il fatto di avere un rapporto di confidenza con alcune persone che lavorano qui: per esempio io e la signora Anna che fa le pulizie parliamo molto, ci troviamo bene insieme. L’8 marzo sono sceso presto la mattina a cercarla perché volevo darle la mia mimosa per lei. Mi ricordo quando ho lasciato per due settimane degli spinaci dimenticati nel portapranzo, che ovviamente si sono putrefatti: lei mi ha aiutato a “bonificare” la situazione!».
Come ti trovi con l’équipe del Collegio?
«Li trovo tutti molto preparati e disponibili. Per esempio, quando si sono verificate alcune dinamiche particolari tra alcuni di noi, don Andrea si è fermato ad ascoltare, a parlare, a cercare di dirimere: è stato un intervento davvero utile e apprezzato. Io dal canto mio devo dire che sono molto legato a Carlotta. Ho avuto dei problemi di salute e lei mi è stata molto vicina, così come alcuni miei compagni di Collegio. È persino venuta a trovarmi in Ospedale: ha un’umanità che va proprio oltre il suo ruolo. Non è la classica direttrice che impartisce ordini, ti fa proprio sentire all’interno di una famiglia, non biologica ma che il destino mi ha messo davanti. Avendo i genitori all’estero, se non ci fosse stata lei mi sarei trovato proprio da solo».
Torniamo all’incontro di Comunità sul fallimento. Ti sembrano una buona opportunità per voi?
«Gli incontri di Collegio per me sono stati tutti molto arricchenti, ma l’ultimo devo dire che è stato illuminante. Mi è piaciuto perché chi parlava era molto competente e perché è stata una bella occasione di dibattito tra di noi, che ci ha messo in grado di utilizzare degli strumenti che avevamo già dentro di noi ma che non sapevamo come tirare fuori».
Che cosa ti porti dietro di utile per la tua vita da quell’incontro?
«Il fatto che dopo ogni fallimento c’è una sorta di resurrezione. In questa società tutti ti dicono che se fallisci non vali niente, mentre io ora ho capito che dalle cadute si impara sempre qualcosa e che soprattutto ora ho degli strumenti per non fallire. Per esempio, se studio matematica in un modo e fallisco posso cambiare metodo: avrò delle chances in più per passare l’esame. Quello che mi è rimasto più in testa è il concetto di resurrezione: il passato ormai non si può cambiare, ma posso lavorare sul presente, che influirà sul mio futuro: questo modo di guardare all’errore mi sta dando molta speranza».
Zelia Pastore
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