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Alessandro, nuovo Lettore

Intervista al seminarista che sabato 27 ha ricevuto il ministero del Lettorato

Lui è Alessandro Capra (nella foto qui sotto), 29 anni, laureato in Economia aziendale e, dal 2018, seminarista ad Alessandria. Sabato 27 maggio ha ricevuto dalle mani del nostro Vescovo, monsignor Guido Gallese, il ministero del Lettorato. Che si trova, per capirci, a metà strada nella formazione di un futuro sacerdote: dopo il Lettorato è previsto l’Accolitato (che ha a che fare con l’Eucaristia), e da lì le Ordinazioni: quella diaconale e quella sacerdotale.

Alessandro, partiamo da sabato scorso: che cos’è, e che cosa comporta, il Lettorato? Lo vuoi spiegare ai nostri lettori?

«Il Lettorato è il mandato da parte della Chiesa di proclamare durante la Liturgia le Letture. Sia chiaro: tutti possono leggere (sorride)… ma nel mio caso è un mandato ufficiale ed è la tappa di un percorso».

Quindi tu avrai più a che fare con la Parola di Dio?

«Il Lettore istituito assume un dovere maggiore verso la Parola di Dio, questo sì. Lo stesso rito di sabato mi ha “chiesto” di meditare quotidianamente la Parola, di proclamarla e testimoniarla, come un vero e proprio mandato missionario, per portare il Vangelo ovunque».

E nella tua vita di seminarista che cosa è cambiato, da sabato?

«Poco, per fortuna! Perché già negli anni che ho trascorso in seminario sono cresciuto nel mio rapporto con la Parola: è diventata veramente una parte integrante della mia vita, e un serio elemento di discernimento».

Discernimento su che cosa? Hai ancora dei dubbi?

«Il discernimento è un pilastro nella vita di un seminarista, insieme con la formazione, ed è distribuito sui diversi aspetti della esistenza di chiunque, oserei dire… è il lavoro che tiene viva la domanda: “Qual è la volontà di Dio?”. È volontà di Dio che io faccia il seminario, o che intraprenda certi studi, o che “rinunci” ad altre strade…».

Che differenza c’è tra discernimento e dubbio?

«Vorrei rispondere così: il dubbio è una cosa naturale, e io lo vedo in maniera sana. Il discernimento è lo strumento che porta a una risposta al dubbio espresso. Quindi, per me, la sequenza è: dubbio, discernimento, scelta».

Capito. Ma come si fa discernimento?

«Innanzitutto con la preghiera. Il discernimento è un atto soprannaturale. Quando prego chiedendo qualcosa mi pongo tre domande: è per la mia santificazione? È a maggior gloria del Signore? È nella Sua volontà? E quest’ultima è la più difficile…».

Come ottieni, o riconosci, la voce del Padreterno alle tue preghiere e al tuo discernimento? In fondo, come facciamo spesso un po’ tutti, potresti farti la domanda e darti la risposta.

«Parto dal mio cammino. È per la mia santificazione? Io credo di sì. È per la gloria del Signore? Nel mio discernimento penso che la mia disponibilità a diventare sacerdote sia positiva, non perché sono io, ma per il ministero. È nella sua volontà? Qui mi viene in aiuto la Parola di Dio. Arriva sempre la Lettura, soprattutto durante la Liturgia, che va dritta al punto e mi dà delle indicazioni attendibili. Questo è uno dei modi in cui il Signore si rivela: Parola di Dio, appunto; Tradizione e Magistero».

E la realtà (cioè cose, persone, avvenimenti) non ti insegna nulla?

«No, mi insegna certamente. Ho tanta stima delle persone, per cui una verità può arrivare anche da loro. C’è un però… che la persona non può essere perfetta, mentre la Parola sì».

Ma la Parola è interpretabile, e quindi corruttibile.

«Per questo c’è il confronto con la figura del padre spirituale. Che è un sacerdote al quale si affida la propria vita spirituale, confidandosi e dando obbedienza, in un rapporto autentico, e non formale, di figliolanza e paternità. Avendo in mano la vita di una persona, il padre spirituale può guidarti nella corretta interpretazione della Parola».

Tu vivi in Casa San Francesco con gli altri seminaristi, il Vescovo, preti e frati, suore e alcuni laici. Quanto è importante questa vita di comunità? E quanto ti aiuta nel fare discernimento?

«La Chiesa nasce come comunità, e se non è così non è Chiesa: gli stessi apostoli furono mandati a evangelizzare il mondo a due a due. Per quel che mi riguarda, il confronto quotidiano e, se vogliamo, anche le discussioni più animate sono occasioni di conoscere aspetti della vita spirituale propri e altrui. Anche in senso positivo: si scoprono pregi degli altri, e difetti propri. Questo è un aiuto: individuato un problema, ci si può lavorare meglio».

Parliamo della tua famiglia. I tuoi genitori erano presenti in Cattedrale.

«Il preavviso è stato risicato (sorride) e quindi non ho avuto molto tempo per prepararli alla notizia. Credo che in loro sia scattato un meccanismo molto comune: quello di considerare il Lettorato come una “promozione” per raggiungere l’obiettivo finale… un po’ come per un corridore vincere una tappa del Giro d’Italia».

E non è così?

«Diciamo che più che “vincere una tappa” siamo ancora agli allenamenti. La vera corsa inizia dopo l’Ordinazione (ride)! Comunque, a Messa ho visto i miei genitori sereni e partecipi del cammino che sto facendo».

Non è facile per un giovane scegliere il seminario, ma anche comunicarlo agli altri: ai genitori, agli amici… tu che consiglio daresti per “lenire” il dramma?

«Il mio caso è stato particolarmente divertente e insolito: sono stati gli altri, amici e genitori, a dirlo a me!».

Spiegati.

«Mi spiego. Io per un certo periodo ho rifiutato questa ipotesi: era proprio il momento in cui i miei genitori facevano domande e allusioni… poi un sacerdote mi ha fatto un discorso molto diretto su quale fosse la mia vocazione e sui motivi del mio rifiuto ad accogliere la volontà di Dio. A quel punto ho voluto andare a fondo di questa situazione, e l’ho fatto proprio con lui, chiedendogli la direzione spirituale. Al termine di questa verifica ho riconosciuto la chiamata e ho chiesto di entrare in seminario».

Qual è a tuo avviso la prima “qualità” che un sacerdote deve avere, o almeno coltivare?

«Io penso che un sacerdote divenga santo proprio santificando il popolo di Dio. E dunque, deve “stare” nel ministero, accettandone e vivendone al meglio le caratteristiche. Che sono l’impegno di preghiera e santificazione propria, lo stile di vita sobrio e le promesse dell’Ordinazione».

Senti, però a me personalmente sembra che manchi qualcosa… l’uomo!

«È la materia stessa del sacerdozio: l’essere uomini completi, formati e pienamente realizzati. Solo attraverso questo riesci a essere testimone e annunciatore credibile del Vangelo».

Sii sincero: il seminario educa a essere uomini?

«(Pausa di silenzio) Credo che alle vocazioni si risponda a un’età più avanzata rispetto al passato, e quindi è più difficile intervenire in questo senso. Detto ciò, in seminario un lavoro sulla formazione umana c’è, seppur con i limiti legati soprattutto alle persone che scelgono questa strada. Si può vivere infatti il seminario come se fosse una “tana” che ti protegge dal mondo, oppure come un periodo di “addestramento reclute” da terminare al più presto per avere il congedo illimitato. Ma non può e non deve essere così».

Sei felice del tuo cammino?

«Ovvio! Perché è la risposta più completa, e concreta, al mio discernimento».

Andrea Antonuccio

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